Lassù qualcuno mi cita.
La citazione mi fa particolarmente piacere perché fa riferimento a un capitolo a cui tengo molto per due ragioni:
1) È stato il primo capitolo inerente la SST pubblicato in un libro internazionale (Single Session Thinking and Practices), curato dai miei cari Hoyt, Young e Rycroft, e molto apprezzato nel campo.
2) Il capitolo (The vital role of the therapist’s mindset) parlava di mindset e lo faceva in una forma particolare. Non credo sia un caso.
Il mindset di un terapeuta è un argomento che mi sta molto a cuore. È una cosa che ho scoperto quasi per caso (tanto che il relativo capitolo sul libro “Terapia a seduta singola. Principi e pratiche” non lo curai io, ma Federico Piccirilli). Eppure, come ho scritto, lo ritengo “vitale” per far sì che la terapia sia breve, di successo e capace di tenere presente una serie di considerazioni etiche.
La forma del capitolo è influenzata decisamente dalle letture del “Tractatus Logico-Philosophicus” di Wittgenstein, che in quel periodo avevo affrontato nuovamente con maggior interesse.
Oltre alla suddivisione numerica dei paragrafi ho cercato di adottare uno stile netto e il più possibile privo di ambiguità.
Uno dei motivi è proprio la mia insofferenza per le ambiguità linguistiche interne alla psicoterapia.
Se da un lato sono inevitabili, dall’altro sono persino indispensabili nella pratica psicoterapeutica. Ma non lo sono, anzi, sono inaccettabili (al netto della loro inevitabilità) nella discussione psicoterapeutica.
In altre parole, il linguaggio della pratica non può essere lo stesso della didattica o dell’argomentazione accademica.
Non ho avuto la pretesa di ambire a un linguaggio particolarmente brillante o efficace (non so se ne ho le doti, le competenze e l’esperienza). Ma l’intenzione e il tentativo mi sono stati molto cari, e sono tutt’ora un continuo spunto di riflessione per i miei studi – e per la mia pratica.
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