RICEVI I MIEI AGGIORNAMENTI PER EMAIL, ISCRIVITI​




Non so se capita anche a voi. Ero sul divano di casa, un sabato o domenica sera. Uno di quei rari momenti di vero, reale, tempo libero: niente da fare, nulla di programmato, nessuna scadenza, nemmeno una commissione in sospeso.

Che faccio?

Guardo verso la libreria e decido di prendere Constructive Therapies. Solitamente le curatele le sbocconcello mentre leggo altro, così voglio vedere se per caso abbia lasciato qualche capitolo in sospeso.

Sì. Ma non lo inizio.

Perché nello sfogliare il libro mi sorprende piuttosto di non vedere alcuna sottolineatura al capitolo 2, quello in cui Michael intervista Weakland e de Shazer, che so per certo di aver letto. Devo averlo fatto in fretta, penso. Così mi armo di una matita e riprendo le pagine tra le dita. E arriva un punto che mi inchioda.

Michael: “Ma se volessimo essergli di aiuto, non solo prenderli sul serio e ascoltarli, cosa dovremmo aggiungere all’ascolto?”
de Shazer: “Il ‘sul serio’. Prenderli sul serio. Vedi, penso che molte persone ascoltano, ma non prendono sul serio.”

Non so mai spiegarmi come e perché certe frasi arrivino a colpirmi come frustate al cervello. Come se, mentre ti inoltri nella foresta e ti sbattono addosso una quantità incalcolabile di ramoscelli, a un certo uno, che potrebbe essere il settimo o il settantesimo, più o meno indistinguibile dagli altri, ti colpisce dritto in mezzo agli occhi. E tu “Ehi!”, e ti fermi e lo guardi e lo vedi per la prima volta e ti rendi conto che un numero imprecisato di ramoscelli simili ti aveva già colpito e persino lasciato qualche segno evidente ma non ci avevi fatto davvero caso. O forse sì, ma non così.

Così, inizio a fare una cosa che già facevo, a farla con ritrovata consapevolezza: prendere sul serio i miei clienti. Decido coscientemente che se mi dicono una cosa è quella. Non che devo portarli da un’altra parte, che c’è una cosa che non vedono e che io devo fargli vedere, una cosa che non sanno e a cui io devo farli arrivare. Il terapeuta esperto, che sa. No, solo stare lì con loro, fargli una domanda che parta esattamente da dove sono per scoprire, con loro, subito dopo di loro, dove ci porterà.

Io: “Quali sono le prime differenze che noterai che ti faranno dire che è avvenuto il miracolo?”
A.: “Non ci sono reazioni alle cose.”
Io: “E cosa ci sarà invece?”
A.: “Proverò calma, serenità. Rimarrò in silenzio, provando serenità e pace.”
Io: “Ok… E cos’altro?”
A.: “Una sorta di piacere somatico. Mi sentirò in forze. La colonna vertebrale… credo che riuscirà a tenermi dritta.”
Io: “E che differenza farà per te?”
A.: “Sarò contenta e tranquilla, e forte, anziché arrabbiata, fiacca, depressa.”
Io: “Mh mh. E cos’altro noterai?”
A.: “Mangerò con più voglia.”
Io: “Che significa?”
A.: “Che non lo farò per necessità o perché costretta, o per timore delle conseguenze. Lo farò perché mi va, perché mi piace.”
Io: “Ok. Ok.”
A.: “Ma… Cos’è questo?”
Io: “Cosa?”
A.: “Adesso che dico queste cose, adesso che me le fai dire, a me non sembrano impossibili. Non mi sembrano un miracolo, non mi sembrano nemmeno lontane. Mi sembra qualcosa che posso raggiungere, che si può fare. Com’è possibile?”

Quando segui una teoria porti la persona lungo il percorso di quella teoria. Non è un errore: la teoria è come una strada gettata in un territorio incognito, serve a farti arrivare dall’altra parte. Anche pensare che sia meglio lasciar guidare la persona, il cliente, è una teoria. E come tutte le teorie, come tutte le strade imboccate per la prima volta (ed è sempre la prima volta), può finire per non portarti dove avresti voluto. Ma dacché quel terreno non è il tuo terreno (è del tuo cliente), allora, forse, lasciar guidare lui, prenderlo seriamente quando ti dice dove vorrebbe andare, dove sta andando, dove ritiene di dover andare, è la cosa più semplice da cui iniziare.

RICEVI I MIEI AGGIORNAMENTI PER EMAIL, ISCRIVITI​