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Jeff è davanti a me, seduto, mi dà le spalle. E una cosa che sta facendo mi ha catturato in pieno.

Jeff, questo ragazzo di sessant’anni suonati. “Ragazzo” perché lo vedi con i suoi pantaloni comodi, la felpa con zip, i baffi e la barba folta – ma tenuta bene – e brizzolata, come i capelli. Le rughe, quelle che piacciono. I profondi occhi azzurri, sorridenti fino in fondo e poi, d’improvviso, quando non te lo aspetti, quando servono, seri, penetranti, decisi.

Jeff. Lo psicoterapeuta maestro di karate. Che ha iniziato vent’anni fa per accompagnare il figlio e oggi lo insegna ai ragazzi.

Lo guardo di nascosto, quest’uomo, dall’alto della sua spalla destra. Accanto a me c’è Jessica Schleider, mentre non ricordo chi stia parlando in questo momento – perché “questo momento” lo sto rivivendo, adesso, nella mia memoria. Ma ricordo bene, come se vedessi e rivedessi un video di tre secondi su YouTube, la scena che su questa memoria si è impressa in modo indelebile.

C’è qualcuno che parla laggiù di fronte, il relatore di questa seconda giornata del Simposio di Terapia a Seduta Singola. E Jeff, davanti a me, penultima fila in fondo, fa quella cosa che mi spiazza completamente: prende appunti. Dovresti vederlo, come prende appunti. Un quadernone a righe, grande, che mi ricorda quello di Matthew McConaughey in True Detective – e in realtà, pensandoci a voce alta, Jeff e tutto questo che sto raccontando hanno molto a che fare con la parabola di Matthew McConaughey. Su quel quaderno, con una penna blu, prende appunti instancabilmente.

Nel mio video di tre secondi c’è lui, occhi sul foglio, che scrive: tre secondi ripetuti all’infinito, uno scrivere interminabile. Lo scriba di Möbius. Ma faceva altro. Guarda il relatore, ascolta silente, gli occhi ora gelidi persi su di lui – anzi no, non sono persi: sono occhi che hanno escluso tutto il resto; per Jeff non c’è nient’altro che il relatore e le sue parole. E lui, Jeff, è lì, in ciò che il relatore dice. E di tanto in tanto – abbastanza spesso, a dire il vero – stacca gli occhi da lui e li getta su foglio, e trascrive lì le parole – quelle del relatore, o i propri pensieri su ciò che ha detto, non lo so.

Ecco: io voglio essere come Jeff.

E’ ciò che penso in quell’istante. Ho accanto la più prolifica ricercatrice della storia della Terapia a Seduta Singola – che stimo enormemente – ma io, in quel momento, e ancora oggi, voglio essere come Jeff.

Chiariamo: chi è Jeff?

Sapete che non so poi troppo di Jeff?

Jeff è stato il Direttore del Bouverie Centre – ormai qualche mese fa se n’è andato in pensione. E il Bouverie Centre, mi disse, è uno dei più grandi centri di terapia per la famiglia al mondo. E’ in Australia, a Melbourne, e tu non l’avrai mai sentito prima, probabilmente – se non citato da me nei miei scritti o video sulla TSS – però ha dato un contributo enorme alla TSS. Io penso di poter dire che se la TSS non è morta con il distacco temporaneo – ma durato quasi un ventennio – di Talmon, Hoyt e Rosenbaum, lo si deve in gran parte al lavoro di Jeff e del Bouverie Centre. Non solo, ma in gran parte.

Jeff è stato anche Direttore dell’Australian and New Zealand Journal of Family Therapy, che nemmeno conoscerai, ma che ha pubblicato la prima – credo – monografia dedicata alla TSS ed è, prima e insieme al Journal of Systemic Therapy, il journal che più le dedica spazio – cosa che solo da pochissimi anni stanno iniziando a fare tutta una serie di altri prestigiosi journal.

Jeff è anche professore alla Trobe University, e ovviamente ricercatore.

Non so molto altro – anche se so che c’è molto altro – ma questo mi basta perché… Ci sei mai stato a un Congresso? Hai mai visto un ricercatore / professore / direttore di un centro clinico simbolo di un avveniristico movimento terapeutico? Ecco, e, costui, quanto l’hai visto chino su un quadernone a prendere appunti su ciò che altri stanno dicendo? – e non parlo di Altri con la A maiuscola, non parlo di Jessica Schleider, non parlo SOLO di Jessica Schleider o Michael Hoyt, o Moshe Talmon, parlo di… me, o Federico Piccirilli (vedrò il giorno dopo Jeff appuntarsi delle frasi dall’intervento di Federico, annunendo con sincero interesse – stavolta, casualmente, nella posizione esattamente opposta a quella attuale: dietro di me, sulla destra).

Io di persone così non ne ho viste tante. Forse non ne ho vista nessuna. Non ho video di tre secondi su altri ricercatori / professori / direttori di, ma se mi chiedi di fare una ricerca nel mio database di immagini gratuite generate dalla mia intelligenza semi-artificiale ne viene fuori un tizio semipelato, che ricorda Craxi ma più panciuto, in giacca e pantaloni grigi e cravatta bordeaux, che, fin troppo rilassato su una sedia della prima fila, guarda verso il palco, ma non sai se sta davvero ascoltando o se pensa agli affari suoi. Di sicuro, non prende appunti.

Ecco, in quel momento, quando vedo Jeff, oltre la sua spalla destra, prendere appunti con un interesse da studente universitario al suo primo o secondo congresso di psicoterapia, penso: “Io voglio essere così. Tra vent’anni, io voglio essere come Jeff.”

“Qual è il senso della vita?”

Di recente ho fatto questa domanda a Flavia – santa donna, Flavia, a sorbirsi le mie domande (eppure ammiro e stimo e sono riconoscente verso il suo prendermi seriamente – non sempre, grazie a Dio – quando faccio domande simili). E’ una domanda a cui rispondiamo alzando gli occhi al cielo, forse perché gli adulti prima di noi ce l’hanno presentata come un clichè, o una sciocca stramberia di filosofi morti qualche secolo fa.

Eppure io me la pongo. In tutte le sue sfaccettature. O in tante di esse.

E “essere Jeff” – posto che, non c’è bisogno che lo dica, la risposta non è “essere Jeff” – essere ciò che incarna, essere quel ragazzo di sessant’anni, quell’eterno studioso, quell’umile apprendista con la cintura nera nono dan, ha per me molto a che fare con essa.

Perché stai facendo quello che fai?

Perché fai lo psicoterapeuta?

Perché lo psicoterapeuta BREVE?

Perché il docente, perché il divulgatore, perché il Direttore di una scuola?

Perché tutto questo?

Molto – non tutto, ma molto – ha a che fare con l’essere Jeff.

Tutto, ha a che fare con quella domanda.

 

Un caro saluto,
Dr Flavio Cannistrà
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