Una ragazza mi dice che non riesce a dormire. O meglio, che ogni notte si sveglia alle 3.15 e poi non si riaddormenta più. Incuriosito le chiedo come faccia a sapere di svegliarsi ogni notte alle 3.15 e lei mi risponde che, quando si risveglia, la prima cosa che fa è controllare l’orologio. Le do allora una semplice prescrizione: nelle prossime due settimane, quando ci rivedremo, dovrà tutte le notti, qualora dovesse svegliarsi nel cuore della notte, dovrà rimanere nel letto e, soprattutto, non dovrà più controllare l’orologio. Nella seduta successiva torna meravigliata: la prima settimana si svegliava ma, non controllando l’orologio, si addormentava dopo un po’. E l’ultima settimana i risvegli sono stati sempre meno frequenti. Ci vedremo altre due volte, senza aggiungere altro, finché i risvegli notturni scomparirono del tutto. Un’altra ragazza, che aveva un forte problema di rabbia verso la madre, aveva problemi a fare un compito che le avevo prescritto: le lettere di rabbia. In queste lettere avrebbe dovuto scrivere tutto ciò che le veniva solo che trovava difficoltosa la cosa e si bloccava tutte le volte che iniziava. Essendo straniera – pur con un’ottima padronanza dell’italiano – le chiesi in che lingua scrivesse: “Ovviamente nella mia lingua madre” mi disse. Le prescrissi allora di scrivere in italiano e, se avesse avuto anche così difficoltà, di farlo al contrario, lettera per lettera. Due settimane dopo disse di essersi sbloccata: dopo un primo tentativo era riuscita a lasciarsi andare, riversando carta tutta la rabbia, avendo finalmente la possibilità di esprimerla ed elaborarla. Andammo avanti ancora per una seduta senza in realtà aggiungere un granché, come se quel tappo tolto avesse fatto fuggire via tutti i sentimenti negativi e modificare spontaneamente i comportamenti verso la madre.
Sotto suggerimento di una cara collega, Paola Lancia, diedi un compito molto semplice a un signore con problemi col bere: ogni giorno, quando aveva lo stimolo a farsi un bicchiere di vino (a cui sapeva che ne sarebbe subito seguito un altro, e poi un altro, e poi un altro, fino a finire la bottiglia), doveva prima scrivere su un foglio di carta le seguenti voci: Data, ora, luogo, persone presenti, situazione, pensieri, sensazioni, Voglia di bere 1-5, Ho bevuto? Sì/No. L’uomo tornò dopo una settimana dicendo di aver ridotto il bere, mostrandomi tutti i foglietti scritti e di aver scoperto di saper gestire meglio di quanto credesse il bere problematico magari sostituendo il vino all’acqua. La terapia andò avanti per un’altra ventina di sedute, durante le quali aiutammo a consolidare questo risultato e a moderare il proprio rapporto con l’alcol. A un altro signore che venne per un problema simile chiesi quale fosse la ragione per cui voleva controllare il proprio bere: “Le mie figlie, prima di tutto. Non sono certo un padre modello” mi disse. Gli chiesi allora di mettere una fotografia delle sue figlie nel vano dove teneva gli alcolici che prendeva più spesso, e null’altro. Mi scrisse un messaggio con uno smile e il testo: “Mi hai fregato” e nelle sedute successive constatò di avere molta più forza di volontà di quanto pensasse. Un ultimo caso è quello di una ragazza che soffriva di tricotillomania, a cui chiesi in che modo avrei potuto aiutarla: mi disse che, secondo lei, doveva trovare un modo per impedirsi di tirare i capelli. Le chiesi con quali dita lo facesse e poi le diedi questa indicazione: avrebbe dovuto portare sempre con sé un rotolino di nastro adesivo e, tutte le volte in cui si fosse sorpresa a tirarsi i capelli avrebbe dovuto metterlo attorno a quelle dita incriminate. La volta dopo tornò dicendo che le era divenuto impossibile – e via via sempre più indesiderato – tirarsi i capelli, e in poche sedute il comportamento svanì del tutto. Continuammo a vederci qualche altra seduta finché il problema svanì del tutto. Questo fu peraltro il caso che mi portò a sperimentare questa tecnica dello scotch che poi ho continuato a utilizzare con tante altre persone che soffrono dello stesso disturbo, ottenendo quasi sempre risultati immediati. Insomma, Giobbe Covatta direbbe “Basta poco, che ce vo?”. La verità è che la psicoterapia non è una cosa semplice, anzi, spesso è un vero e proprio casino. Tuttavia, Harry Stack Sullivan, noto soprattutto per i suoi lavori con gli schizofrenici, diceva che lo psicoterapeuta dovrebbe sempre iniziare con interventi molto semplici e solo successivamente se questi non sono efficaci, aggiungerne via via di più complessi.
Flavio Cannistrà
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