Eccoti lì… una sopravvissuta: ti sei arrampicata su 36 esami che ancora ti svegli la notte di soprassalto pensando “Oddio ma ma me l’hanno convalidato Psicometria!?”, hai realizzato una tesi sperimentale che Kahneman ha detto “Datele il mio premio Nobel a questa” ma la tua Relatrice poi l’ha passato alla sua assistente preferita, hai fatto 1000 ore di tirocinio di cui 700 passate a fare le fotocopie che poi nel 2022 chi caspio le fa più le fotocopie e 300 a sentire cose che non hai capito perché in realtà nessuno te l’ha veramente spiegate, e hai passato l’esame di stato, o forse no, o sì, Bea ma si fa ancora l’esame di stato? E ora, sei una psicologa. Su carta. Perché se vedessi davvero un cliente oh, ma serio, che caspita gli racconti? Ti senti un po’ sul pendolino della psicologia, Catania-Milano in 12 ore con immancabile locomotiva fusa a Bologna Centrale, un po’ come essere Yamcha in Dragon Ball: tutti pensano che tu sei figo, ma tu alla fine lo sai che, inevitabilmente, al prossimo scontro, ti corcheranno di botte. Colpo delle zanne del lupo… Ma non ti arrendi. “36 esami”, ti dici, magari pure 42, o 70 come nel mio caso. “Qualche cosa dovrò averla imparata”, ti dici. Così ti affacci alla finestra che dà sugli apprendimenti fatti esame dopo esame: una landa sul niente. In una pianura scorgi due neuroni attaccati insieme con un assone: serotonina, dopamina e noradrenalina giocano a bocce tra le sinapsi. Dietro un muretto, la Scala Nominale viene presa a calci da quelle A Intervallo e Di Rapporto. La Scala Ordinale guarda muta la scena: sa che dopo tocca a lei. In un angolo, Wundt ti accenna un sorriso. Non te lo caghi. Nessuno si caga Wundt. La testa di Freud invece salta fuori da ogni buco. E allora prendi il binocolo e punti dritta verso l’unico esame che ti possa davvero essere utile: il Colloquio Clinico. E’ lì, un angolo di muro divelto dalle bombe neanche fossimo a Kiev.Per terra un paio di pizzini con su scritto “nevrosi”, “psicosi”, “ascolto attivo”. Rimani impietrita di fronte alla verità: non sai un cazzo. Una verità si palesa come un potenziale d’azione: hai fatto cinque anni di psicologia, ma alla fine dei conti non sai nemmeno se a ‘sto povero cristo che ti aspetta in sala d’attesa gli puoi stringere la mano oppure no. Eppure nelle tue fantasie tu ti vedevi, tu eri lì: tranquilla, serena, seria, professionale, col tuo blocco notes a prendere appunti mentre il cliente parlava. Ma ora realizzi che non c’era l’audio: così schiacci sul volume… ma non senti niente. Ci sei tu che parli, ma non dici nulla. Tu non sei il ventriloquo, tu sei il pupazzo di pezza. E il problema è che non c’è nemmeno nessuno che ti metta una mano su per il sedere facendoti dire qualcosa! E il blocco degli appunti… è bianco. Non ci hai scritto nulla. Mentre quello parlava tu ci hai disegnato sopra due cuore, un fiore, la faccia di Candy Candy. “Forse dovevo darmi a disegno”, pensi. Ma poi guardi Candy Candy e ti rendi conto che fa schifo e che non sai fare nemmeno quello. Ti viene da piangere. Andresti dall’amica tua che sa tutto, che prendeva tutti trenta, che ti ha detto che poi avrebbe fatto la Scuola di Terapia Cognitivo Comportamentale di Terza Generazione a te che ancora stai cercando di capire se la Psicoanalisi e la Psicodinamica siano la stessa cosa. Ma che je racconti a quella, quella sta peggio de te…Tirati su. Siamo stati tutti sulla stessa barca. Abbiamo tutti avuto la sensazione di aver studiato tanto e raccolto niente. Non dico che è giusto, non dico che va bene, dico solo che è comune. Le competenze germoglieranno dalle conoscenze e dalle esperienze. Intanto, usa il tempo. Un tempo attivo. Un tempo in cui cercare libri, corsi o Scuole che ti diano ciò che probabilmente ti è davvero mancato in questi 5 anni: la pratica. E un insieme strutturato di procedure. Fai un respiro. Apri gli occhi. Usa il tempo. Sei una psicologa, non la Presidente del Consiglio. Non devi dimostrare niente a nessuno. Solo a te stessa.
Flavio Cannistrà
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