Hai aiutato il paziente con un disturbo di personalità ad affrontare quel sintomo o quell’insieme di sintomi invalidanti che ti aveva portato. E ora? Di là c’è il mio gatto che sta mangiando, forse sentirete il suo crock. tu ora dovevi mangiare, ora. Adesso arriva forse la parte più difficile. Non c’è bisogno di soffrire di un problema fortemente invalidante per tanti anni per trovarsi di fronte a una questione critica: la persona deve reimpostare la propria la vita. Immagina questa situazione: una persona ha un’etichetta di “malato mentale” da 10, 20, 30 anni…etichetta che l’ha portata a escludere o limitare tutta una serie di tappe evolutive… Tu arrivi, bella bella, e la aiuti col sintomo: le hai in pratica fatto mettere le mani in tasca, trovare la chiave e aprire la porta della gabbia in cui era rinchiusa da tempo…e mo? E mo, proprio come un animale cresciuto in cattività, si ritrova immersa in un habitat che in teoria è il suo habitat naturale, ma in cui in pratica non è mai stata. Detto in altri termini, la persona si trova di fronte a delle sfide evolutive necessarie per vivere: come si corteggia qualcuno? Come si trova un lavoro? Come si fa la spesa? E ancora, come ci si relaziona agli altri? Di quali risorse dispongo? Cosa mi piacerebbe fare durante le mie giornate? E così via dicendo… Il paragone potrebbe essere quello di un ergastolano che esce e si ritrova in un mondo che ormai non sente più suo… Un po’ estremo, è vero, ma non irrealistico. E’ estremo nel senso che non per tutti è così, anzi: la maggior parte delle persone, anche se soffrono di un problema da tanto tempo, se la sanno stracavare. Sarà più probabile che in alcune aree, non tutte, avranno più bisogno di una mano. Una mano che a volte sarà una piccola e leggera spintarella…e altre volte sarà un braccio che le aiuterà a tirarsi fuori da una fossa che sembra loro troppo profonda. Non è però irrealistico perchè spesso la sensazione è proprio quella di non sapere che cosa fare e non sapere neanche come farlo. Dopo lo sblocco sintomatologico, e sebbene dei sintomi possano ancora esserci, dovrai aiutare la persona a fare quest’altro lavoro: costruire, o ricostruire, ciò che non c’è o …o sviluppare quelle risorse e competenze non sufficientemente sviluppate …come un muscolo poco allenato che necessita di riabilitazione. In questa seconda fase, di “Adattamento evolutivo”, la tua posizione dovrà cambiare: non sarai più quel fascinoso illuminato illusionista di cui ho parlato nel video precedente… Assumerai sempre più un ruolo da “saggio della montagna”: un ruolo per un lavoro “confrontativo”, come dice Nardone. Userai sempre meno tecniche e sempre più il dialogo…con lo scopo di aiutare la persona a scoprire il mondo e le parti del mondo in cui ha necessità di un supporto e a scoprire se stessa. Nota importante per chi, come noi, adotta un approccio multiteorico: a volte troverai che delle persone avranno bisogno di un approccio più supportivo… In questi casi la Terapia Strategica, con la sua indiretta direttività, potrà essere più adeguata. Altre volte, la persona vorrà essere più protagonista attiva del suo processo di scoperta… L’approccio potremmo dire potrà essere più espressive in questo caso la TBCS può essere più adatta allo scopo. In ogni caso, ristrutturazioni e risignificazioni la faranno da padrone sulle prescrizioni: queste ultime avranno soprattutto uno scopo esplorativo… le darai per far affrontare certe sfide o scoprire certe risorse …oppure si riutilizzeranno di tanto in tanto in caso di un ritorno dei sintomi…Ma le prime, le risignificazioni, saranno la calce che metterai per aiutare la persona a tenere assieme i mattoni che pian piano la persona andrà a mettere per costruire la propria vita. La creazione finale sarà un nuovo senso identitario, la costruzione di un nuovo Sé, processo di cui andrò a parlare nel prossimo e ultimo video.
Flavio Cannistrà
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