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La paura di farsela addosso è un problema incredibilmente comune. La quantità di gente che teme di non riuscire a trattenersi è enorme: io stesso vedo costantemente queste persone e non c’è quasi periodo dell’anno in cui non ne abbia almeno una in trattamento.  D’altronde si tratta di una paura incredibilmente invalidante:  l’idea che potremmo non trattenere le feci e l’imbarazzo di sporcarci davanti a tutti sono insostenibili. E non solo. Per molti anche la “semplice” idea di dover chiedere di usare un bagno, o di fermare la macchina, è altamente imbarazzante. E perché diventa un problema invalidante?  Perché finisce per limitarti completamente la vita. Pensala così: da un lato, hai paura di potertela fare addosso da un momento all’altro, quasi senza controllo; dall’altro, ti sembra impossibile chiedere di usare il bagno, oppure trovi altamente imbarazzante l’idea che altri possano pensare perché ci stai passando “così tanto tempo”. Considerando tutto questo, qual è la reazione a queste tre cose se perpetuate nel tempo?  La rinuncia.  La persona comincia ad evitare tutte le situazioni che possano esporre al “pericolo”. Si comincia col rimandare cene e situazioni sociali,  ma ben presto si possono rimandare anche gli impegni di lavoro o limitarli fortemente: ad esempio, ci si trattiene sempre meno con i clienti o addirittura ci si rifiuta di partecipare a riunioni e incontri fondamentali o si partecipa sempre per meno tempo.  Pian piano, quasi come nell’agorafobia, si evitano sempre più le esposizioni, ci si rinchiude sempre di più. Ma non solo. Si possono iniziare ad evitare anche cibi e bevande considerati problematici: non è raro che chi soffre di questo problema esclude quasi completamente i caffè, o gli alcolici, o i cibi “pesanti”. Molte persone un minimo cercano di “combattere”, ma in un modo, ahimè, disfunzionale. Ad esempio, si fanno una “mappa dei bagni”: significa che quando sono costretti ad uscire, per lavoro o situazioni sociali irrimandabili, fanno una cosa precisa:  si studiano il percorso e analizzano dove sono tutti i possibili bagni, necessari in caso di emergenza. Purtroppo, sappiamo bene che il controllo è un’arma a doppio taglio: se da un lato viene esercitato per placare l’ansia, dall’altro non fa altro che aumentarla, perché ci rimanda un messaggio critico:  “Io. Ho. Un. Problema… e non sono in grado di risolverlo”. Ma questa e la selezione dei cibi non sono le uniche forme di controllo esercitate.  Molte persone, infatti, fanno ricorso a farmaci antidiarroici, i quali hanno delle controindicazioni:  la prima, ovviamente, è di tipo medico. Vidi un cliente che prendeva uno di questi farmaci ininterrottamente da 14 anni, e posso lasciarvi immaginare gli effetti collaterali. L’altra è di tipo psicologico: prendere sempre questo tipo di farmaco, al bisogno o addirittura preventivamente, mi mantiene nell’idea di avere un problema. Tutto questo ovviamente conduce poi ad altre problematiche psicologiche:  molte di queste persone vivono con l’ansia o con veri e propri attacchi di panico, generati ovviamente dalla loro paura di farsela addosso. Ma non di rado molte finiscono in depressione:  le limitazioni alla propria vita e la percezione dell’irrisolvibilità del problema sono tali da impattare drasticamente sull’umore. Come la proverbiale goccia, scavano un solco nelle giornate della persona, che si sottrae sempre più alla vita.  Come possiamo aiutarle? Ci sono diversi modi e oggi abbiamo già capito una cosa: quelle che abbiamo visto sono tutte tentate soluzioni disfunzionali. Tentativi, cioè, di risolvere il problema, che in realtà finiscono per mantenerlo.  Attiva le notifiche del canale, perché la prossima settimana spiegherò come bloccarle e come risolvere questo problema.

Flavio Cannistrà

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