Come si deve concludere la terapia dell’anoressia giovanile? Nardone e Valteroni dedicano uno spazio importante alla terza e quarta fase del trattamento. Infatti, se il problema dura da tempo, anche solo da qualche anno, ti potresti trovare di fronte a delle questioni importanti: la persona deve confrontarsi con parti rilevanti della propria vita. Con “anoressia”, infatti, non parliamo semplicemente di un problema legato alla nutrizione o a una visione disfunzionale del proprio corpo. Questi due aspetti, infatti, impattano con altri aspetti della sua vita, come ad esempio le relazioni sociali e il confronto con gli altri. E’ innegabile che, nonostante l’impegno di forze contrarie, siamo immersi in una società che promuove delle idee disfunzionali rispetto al corpo. Tanto per citare un effetto di tali idee, si parla sempre più spesso del “tiny privilege”, cioè del privilegio dell’essere magri. Oppure, la sana cultura della salute fisica viene declinata troppo spesso in una esteticità vacua, che di salute c’è poco e niente. Comprendi, allora, che il ragazzo o la ragazza con cui lavori potrebbe aver difficoltà a calarsi “nel mondo reale”, quello fuori dallo studio: dentro la tua stanza c’è il principio di sanità, ma nel suo mondo quotidiano vige il principio dell’estetica. A volte il lavoro da fare è sulla percezione personale: il cliente potrebbe avere un’idea troppo rigida di come devono essere le forme del corpo. E dico “troppo rigida” apposta: l’estetica è in ultima analisi un valore soggettivo – benché largamente influenzato a livello culturale e sociale. Ma, come per tutto, una percezione rigida, che non lascia spazio alla flessibilità che richiede la vita, non potrà che generare sofferenza e limitazioni. Altre volte c’è da lavorare sulla percezione del giudizio: il cliente potrebbe avere la percezione di essere giudicato per le sue forme, anche se non è così. E’ difficile far propria l’idea di “accettati così come sei” se i modelli esterni, dai personaggi TV ai compagni di classe, sono in contrasto o diversi da “come sei”. Cosa fare allora? In questo caso può essere utile assumere una posizione confrontativa. Si parla apertamente con la ragazza o il ragazzo dei difetti estetici percepiti o degli standard agognati. Eviterai la posizione rassicurante assunta generalmente dagli adulti, e che non fa altro, sebbene sia comprensibile, che far arroccare ancora di più la ragazza o il ragazzo sulle sue posizioni. Quello che si farà, invece, sarà discutere di possibili soluzioni concrete, raggiungibili e adeguate. Non c’è niente di male a voler essere più belli, anche più magri o più tonici: è il come ciò possa essere raggiunto che fa la differenza. Accanto a questo, potrai aiutare la persona con delle strategie relazionali. Sono le competenze nell’interagire con gli altri che fanno sentire più sicuri di sé, e non la bellezza fisica. Sentirsi più belli (che poi “più” di cosa?) può sicuramente aumentare la sicurezza di sé, ma non la implica necessariamente. Il ragazzo andrà allora aiutato a sostenere il confronto con gli altri, a spostare l’attenzione da sé a loro. A questo punto si entrerà nell’ultima fase della terapia, generalmente dopo massimo una decina di sedute. Qui il tuo ruolo dovrà essere sempre più distaccato, volto a favorire l’autonomia della cliente. Diradi gli appuntamenti, vedi la persona una volta al mese, e la aiuti a darsi e a raggiungere degli obiettivi personali e relazionali, fungendo più da supervisore. Questo è tutto ed è’ un interessante modo di lavorare coi problemi di anoressia: niente inconscio, niente dinamiche familiari profonde, “solo” un lavoro atto concretamente a ripristinare percezioni personali e competenze relazionali. Naturalmente ci sono tante varianti, di cui non ho parlato, casi in cui c’è overexcercising, le abbuffate, il vomito, il purgin, c’è veramente tanta roba, ma puoi approfondire questi aspetti nei testi di riferimento. d’altronde, è il caso di dirlo, per trattare i problemi di anoressia con la terapia breve tocca fare… un’abbuffata formativa.
Flavio Cannistrà
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