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Ma cos’è che rende depresso un depresso? Nel video “chiedere al depresso di non fare il depresso” abbiamo scoperto una cosa interessante: nel momento in cui riesci a indurre una persona depressa a fare delle cose che farebbe quando non è depressa, ecco che per definizione non sarà più depressa. Abbiamo anche spiegato una cosa importante: non è che svanisce per miracolo ma c’è una retroazione per la quale fare cose che mi fanno stare bene mi porta poi effettivamente a sentirmi bene. Ora un buon modo per farlo è sicuramente quello di utilizzare i principi della terapia breve centrata sulla soluzione.

Cioè un dialogo che porta la persona stessa a identificare ed esplicitare le cose da fare in modo che sia poi più facile per lei metterle in atto, ma senti qui. Una volta vidi una persona con cui utilizzai questo approccio che si era rivelato nella mia esperienza clinica molto utile per tante persone con questo problema ma non funzionò. Sì perché questa persona, come mi disse poi, voleva invece qualcosa di più direttivo. Nessun problema, dico io, perché è proprio questo il nostro compito.Dobbiamo essere come terapeuti in grado di adattare il nostro metodo alla persona che abbiamo di fronte.

Poi non è che lo dico io, eh, lo dicono in tanti, da ultimo, lo dice anche l’American Psychological Association. Va beh, quindi qual è un’altra cosa che possiamo fare? In realtà seguire proprio ciò che dice il padre della terapia breve centrata sulla soluzione. Bloccare ciò che non funziona. E proprio in questo senso va la terapia di Michael Yapko per la depressione, massimo esperto internazionale di terapia breve per la depressione che ad ottobre terrà un workshop online organizzato da noi proprio su questo tema.

Sul fatto di bloccare ciò che non funziona, può tornarci utile un concetto interessante: il concetto di ridondanza. Ci sono cioè ovviamente una serie di atteggiamenti e comportamenti nel depresso, che mantengono la depressione, che sono ridondanti, cioè che si ripresentano con una certa costanza, mantenendo per l’appunto la depressione in essere. E quali sono? Sono diversi in realtà ma tre sono piuttosto ridondanti e visibili, e andiamo abbastanza a colpo sicuro bloccandoli. Al numero uno c’è la rinuncia. Questo è il più subdolo ma anche il più importante da aggredire.

Sì, perché la persona depressa, per definizione, rinuncia, ma rinuncia a cosa? Può rinunciare a buona parte delle interazioni piacevoli, al piacere del mangiare, agli aspetti ludici del lavoro, ma può anche fare di peggio. Può rinunciare a tutte le interazioni sociali, a qualunque forma di piacere, a tutta la vita in generale, fino ad arrivare a rinunciare a vivere. Ora ovviamente bloccare questa soluzione disfunzionale non è facile. In un paio di interviste che gli ho fatto, ora la trovi in video proprio in questo canale, Michael Yapko spiega come fare. Si tratta di incrinare giornalmente questo stato di rinuncia portando a fare ogni giorno delle cose anche minime. Ed è facile? No. No ed è il motivo per cui tra una settimana parlerò della comunicazione con il paziente depresso.

Che tipo di comunicazione, di linguaggio, devi avere, che è un tema fondamentale di cui anche Yapko ad ottobre nel suo workshop ci parlerà. Al numero due tra le cose che mantengono in vita la depressione c’è la lamentela. Più in generale potremmo dire il vittimismo, come lo definisce Nardone, e capiamo bene perché è un problema. Oltre che di comportamenti noi viviamo di significati, anzi i comportamenti e i significati si intrecciano insieme, così che ciò che faccio mi dice chi sono e ciò che dico di essere influenza ciò che faccio. Così se mi lamento sempre, se dico che non sono capace, se la vita secondo me fa schifo e gli altri sono ingiusti, che vantaggio ne traggo? Nessuno, anzi mi affosso ancora di più. Quindi, che dobbiamo fare? Dobbiamo portare la persona a smettere di cuocersi nel proprio brodo, il che non è facile eh? Non lo è perché la persona in realtà può sentire il desiderio di far uscire quello che ha dentro, generalmente la rabbia prima di tutto, e non lo è neanche perché in certi casi quella è la sua unica valvola di sfogo, la lamentela.

Quindi?

Quindi devi valutare almeno due possibili situazioni.
Quella in cui la persona terapeuticamente ha bisogno di una valvola di sfogo e sono quelle in cui paradossalmente spesso la persona non parla con nessuno, non ha nessuno con cui lamentarsi, quindi non la fa, la vittima, non tramite la lamentela perlomeno. È quella in cui invece la lamentela c’è, è abbondante, mantiene il problema, e quindi tu devi andare a creare dei contenitori ad hoc appositi in cui lamentarsi.

Possono essere parlati, possono essere iscritti, potrei dire, vorrei dire di più su questo e anche sulla rinuncia ma poi diventa un video di venti minuti quindi magari ci tornerò in seguito se vi interessa. Però erano tre i comportamenti disfunzionali, e infatti il terzo è la delega.
Se rinunci, va da sé, deleghi. La persona depressa non di rado fa fare certe cose agli altri, il che è un problema. Lo è ad esempio perché sappiamo bene che l’autostima, cioè la stima che sappiamo fare di noi stessi, va di pari passo con la percezione o la stima dell’autoefficacia, cioè la stima di quanto noi siamo efficaci nel fare le cose.

E quindi?

E quindi se deleghi, se fai fare agli altri, ne va di sé che l’autoefficacia e l’efficacia percepita di te stesso sarà mediocre e di conseguenza sarà mediocre l’autostima che dai di te stesso. E non solo, perché delegando mantieni la posizione di incapace, di vittima degli eventi, di succube degli schiaffi della vita.
Su come bloccare questo comportamento ne ho parlato tempo fa nel video “depressione, e la tecnica del boicottaggio benevolo” quindi non mi dilungo ulteriormente qui. E ti mando anche al sito www.istitutoicnos.it, se ti interessa avere informazioni sul workshop di Michael Yapko sono rimasti ancora un po’ di posti, e se ti interessa capire come aiutare il depresso a bloccare…

…ciò che lo mantiene depresso.

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