Flavio, ma tu ogni quanto vedi un paziente?
Questa è una domanda che mi viene fatta spesso non solo dai miei studenti, ma anche da altri colleghi e non è sciocca. Non è sciocca perché ci
sono alcuni studi sulla frequenza della psicoterapia, non molti a dire il vero, che danno dei dati interessanti. Uno degli studi più citati recenti, quello di Ereksen, Lambert ed Egget ci dice delle
cose notevoli. Fatto su 21500 utenti di centri di consulenza universitaria per un periodo di 17 anni ha valutato se fossero meglio le terapie settimanali o quelle quindicinali. E qual è il risultato?
Il risultato è che entrambe sonno uguali in termini di efficacia ma quelle settimanali sono meglio dal punto di vista dell’efficienza. In altre parole se vedi una persona una volta alla settimana le permetti di riprendersi più velocemente che non se la vedi una volta ogni due settimane. Cosa ne possiamo concludere? Beh Flavio ne possiamo concludere possiamo vedere i nostri pazienti una volta a settimana e no. No, perché numero uno gli stessi autori dicono che l’efficacia e l’efficienza dipende da diversi fattori, non dobbiamo fare l’errore di pensare che basta incrementare la frequenza per ottenere risultati più velocemente. Quindi dobbiamo tenere in mente il dato appena sentito ma fare delle considerazioni. In termini generali infatti la frequenza di una terapia è uno strumento, una tattica se vogliamo.
Mi spiego meglio. Aumentare o diminuire la frequenza delle sedute fa parte della tua strategia di intervento. Anzi di più. È legato molto al contesto di intervento e all’approccio utilizzato.
E per esempio nonostante la grandezza del campione di Erekson, ci sono già due elementi che saltano all’occhio. Il primo è che è stato fatto nei college universitari quindi utilizzando la categoria di pazienti più sfruttata nelle ricerche di psicoterapia: gli studenti universitari. Per carità hanno problemi pure loro eh, poveri ragazzi, però non è un campione rappresentativo della popolazione generale, però su questo ci torniamo dopo. L’altro
motivo è che anche l’approccio terapeutico influenza, la frequenza, però fai attenzione.
Da un lato è importante considerare che se tu chiedi ad un freudiano di vedere i pazienti di base ogni quindici giorni o se chiedi ad uno strategico di vederli due volte a settimana stai proprio snaturando l’essenza del loro intervento. Come chiedere a Garry Kasparov di giocare a scacchi basandosi su ciò che dicono i dati e non la sua strategia. Il che non è sbagliato eh. I dati devono proprio servirci per aggiustare la rotta di quello
che stiamo facendo, ma se ne snaturano l’essenza stai correndo dei rischi.
E infatti è interessante che Ereksen non ci dice che tipo di terapia praticassero i terapeuti coinvolti. Nella ricerca cita la letteratura sulla terapia cognitivo comportamentale e la
psicoanalisi, quindi potremmo dedurre forse che erano questi gli approcci utilizzati però non lo sappiamo in realtà.
Quindi Flavio scusa eh, stai facendo ‘sto video di trecento minuti, che dobbiamo fare alla fine? Ogni quanto dobbiamo
vedere i pazienti?
La mia risposta è questa: segui quello che tipicamente si fa nel tuo modello di intervento nell’approccio che segui, ma sii pronto ad aggiustare la rotta.
Posto che io mi sono dato l’obiettivo di fare proprio una ricerca su quale potrebbe essere la frequenza migliore in terapia breve, io usualmente vedo i pazienti ogni quindici giorni, ma c’è un ma. Sono sempre pronto ad aumentare o a diminuire la frequenza degli incontri a seconda delle necessità, e guarda che non significa solo quello che stai pensando. Cioè non vuol dire semplicemente che se c’è una situazione grave
allora aumento la frequenza e ci vediamo a incontri più ravvicinati.
Sembra ovvio e scontato però non lo è necessariamente.
Infatti dobbiamo sicuramente monitorare strettamente le situazioni a rischio, come il rischio suicidio, ma questo non vuol dire che passi monitorarle assiduamente, attentamente passi necessariamente dall’aumentare la frequenza delle sedute.
In più c’è un in più.
In più è che spesso aumentare o diminuire la frequenza a seconda delle necessità si deve riferire alle necessità del cliente. Non è raro che io veda persone che non sono gravi ma che sentono
la necessità di incontri più ravvicinati. Posto che io dico sempre la mia ovviamente in questi casi, tengo sempre presente una cosa: un elemento dell’alleanza terapeutica è l’accordo con le
preferenze del cliente. E che vuol dire? Vuol dire che se le trascuri rischi di perderti il cliente, drop out.
Occhio, non vuol dire che allora le devi assecondare sistematicamente, diciamo che devi tenerle in considerazione per capire di nuovo come aggiustare la rotta.
Insomma io volevo fare tipo un video breve, della serie, fare così è giusto, fare così è sbagliato e tanti saluti, e invece no, niente, non mi è riuscito. Spero di averti dato comunque qualche spunto interessante, magari puoi attivare la campanellina per ricevere le notifiche, e per il resto è davvero il caso di dire…
…ci vediamo.
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