Ecco un caso di Terapia Breve con una persona che vive una realtà fortemente problematica.
Katia ha 45 anni, uno status socio-economico basso e viene da una famiglia di “disgraziati”, come dicono nel paese in cui abita: padre alcolista e violento, madre con lieve disabilita intellettiva, e due sorelle con disabilità intellettiva moderata.
Una vita “pasoliniana”, fatta di collegi e famiglie adottive, una di quelle situazioni in cui una terapia monadica, che si concentra solo sull’individuo senza tenere in considerazione il contesto, è destinata a fallire.
Ma perché arriva al centro per famiglie?
Barcamenandosi tra decine di lavoretti, una scuola lasciata a metà e un divorzio alle spalle, Katia non ce la fa più: a Monica Patrizi, psicologa terapeuta nonché studente della mia Scuola di Specializzazione in Terapie Brevi Sistemico Strategiche, dice di sentirsi “in un fosso”, non ce la fa più, ha bisogno di mettere il focus sulla sua vita.
Eh, però come fai ad aiutare una persona che vive in un ambiente che la vincola così tanto, dove il suo destino sembra già segnato?
Monica utilizza la Miracle Question e chiede a Katia “Qual è il tuo futuro desiderato?”
Niente di più facile: superare il primo anno di scuola serale, trovare un lavoro stabile in Italia, attivare un servizio di sostegno per le sorelle, tornare a fare sport…
Una di quelle situazioni in cui la percezione del terapeuta è che sia quasi tutto nelle mani della persona, che lui, o lei, non può fare niente come terapeuta e che forse dipende anche un po’ dal fato, dal destino.
Come si fa?
Monica è molto attenta, si fa a descrivere nel dettaglio il futuro desiderato di Katia, però perché lo fa?
Perché vuole che Katia inizia a descrivere il futuro desiderato, ad immaginarlo in modo più vivido, a rendersi conto di quelle che sono le sue competenze e possibilità per cominciare a metterlo in atto.
E non fa solo questo: “Immaginando che su una scala da 0 a 10 il tuo futuro desiderato si trovi in cima, tu dove sei adesso?” chiede Monica.
Katia dà una valutazione che corrisponde anche alla sua media scolastica: 5.
Cosa fa allora Monica? Inizia ad esplorare tutte le situazioni, tutti i dettagli che fanno dire a Katia di essere a “5”, e non a meno, ti è chiaro perché?
Perché così Katia dovrà elencare nel dettaglio tutte le sue risorse, tutte le strategie, tutti i punti di forza che le fanno dire di essere arrivata a quel gradino lì, al “5”, e di riuscire a rimanerci.
Arriviamo così alla fine della seduta, Monica le chiede di descrivere il “6”, cioè che cosa noterà e farà Katia quando sarà un gradino più in su, e poi alla fine si salutano.
Ecco, ora le cose si fanno più interessanti: quando Katia torna, dice che le cose non sono cambiate un granché.
Però Monica non si fa scoraggiare: in queste situazioni è bene chiedere come sono andate effettivamente le cose, senza parsimonia di dettagli, ed infatti…
Ed infatti Katia ha iniziato a prendere ripetizioni, ha iniziato a studiare con una collega di studi, e si è messa di nuovo a fare sport, si è scritta in palestra.
Mica male, però ti è chiaro perché?
Perché sono tutte cose che la mettono in linea per raggiungere gli obiettivi che lei si era data nel suo futuro desiderato.
Ma Katia continuerà a farle?
Negli incontri successivi Katia si metterà sempre su un gradino un po’ più su, ma in realtà basso, si darà sempre più o meno un “6” meno, che peraltro corrisponderà a dei voti che lei ha iniziato a prendere, la sufficienza e anche di più.
Però Monica continua a chiederle i dettagli, ed effettivamente vede che lei, Katia, continua a fare quelle cose.
Non è strano questo.
Non è strano perché una persona che vive in un ambiente simile, in una vita simile, con tante difficoltà può darsi che per un effetto alone tende a darsi dei voti bassi anche se cambiamenti nella sua vita ce ne sono.
Alla fine dell’anno scolastico, prova delle prove, Katia ha i voti giusti per essere promossa, e non solo: ha preso contatti con una casa-famiglia per il sostegno delle sorelle, tra l’altro ha affrontato anche la madre per iniziare a parlarle di questa cosa, che non sarebbe stata certo facile per lei, in più è riuscita a trovare un lavoro con contratto che le permetterà con i suoi stipendi di comprarsi una macchina nuova.
Oltre a questo, inizia a collaborare con una associazione della provincia in cui abita, e comincia a raccontare delle fiabe per le piazze dei paesi del circondario.
Bel caso, tratto dal libro “Terapia Breve Centrata sulla Soluzione. Principi e pratiche”, e soprattutto interessante quello che Monica ha scritto.
Perché, come lei scrive chiaramente nel caso, lei nelle settimane, di seduta in seduta, ha continuamente cercato di farsi descrivere i dettagli di ciò che funzionava, per quanto Katia potesse essere svalutante o per quanto potesse essere difficile andare a trovarli.
L’ha portata a descrivere ciò che notava di positivo di sé e delle proprie competenze.
In questo modo l’ha portata ad avere una nuova risignificazione, percezione di se stessa, che poi tra l’altro è l’obiettivo collaterale di tutte le terapie.
Per capire un po’ di più, puoi vederti video della Miracle Question e della tecnica della scala, su cui già ho dedicato qualche minuto in, appunto, altri video.
Puoi anche attivare le notifiche per vedere quando ne usciranno altri simili, o altri casi come quello di Katia.
Ma in particolare queste due tecniche, che sono fondamentali per la Terapia Breve Centrata sulla Soluzione, devono la loro forza alla loro semplicità: portano la persona a descrivere ciò che funziona o che potrà funzionare, a farle fare automaticamente i passi per iniziare a realizzarlo, che è uno dei modi migliori…
…per cambiare la propria vita.
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