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Come si può superare un trauma? Scrivendolo.
Rispetto ai traumi c’è una corposa letteratura scientifica che spiega come affrontarli dal punto di vista terapeutico che può essere fin troppo sintetizzata con questa frase: devi passarci in mezzo.

Poi se vogliamo usare dei termini più tecnici perché ci piacciono possiamo parlare appunto di “esposizione” che in effetti avviene in tanti modi diversi:
facendovi accedere al trauma attraverso i ricordi;
ripercorrendo in stati alterati di coscienza;
semplicemente parlandone o anche, quando possibile, andando a ripercorrere i luoghi fisici in cui è avvenuto il trauma.

Ecco, queste sono tutte forme di esposizione con la loro dignità, ma devo dire che quella che io preferisco come scelta iniziale è sicuramente la scrittura.

Ma come funziona?

Nella versione che utilizzo solitamente, ripresa dal bel libro “Cambiare il passato” di Federica Cagnoni e Roberta Milanese, generalmente che cosa si fa? Si utilizza la tecnica del “romanzo criminale” o “romanzo del trauma”.
Tra l’altro ho intervistato tanto Roberta quanto Federica, e con quest’ultima abbiamo proprio parlato di come trattare il trauma.

Ma tornando alla tecnica, ciò che si chiede alla persona è sostanzialmente questo: da qui alla prossima volta in cui ci vedremo dovrai ripercorrere l’evento traumatico, prendi un foglio di carta e una penna e sera dopo sera riscrivi quello che è accaduto.

“Mi raccomando deve essere pregno di dettagli, perché dovrai farmi sentire quello che hai sentito, quindi dovrai mettermi tutto ciò che riesci a ricordare, persino ciò che ha visto, ciò che hai sentito, gli odori, le frasi, i pensieri che ti sono venuti in mente, devi proprio scrivere un vero e proprio romanzo criminale. Ogni sera ti metti lì e lo ripercorri, aggiungendo dei nuovi dettagli ogni volta, senza però mai doverlo leggere. Quando ci rivedremo mi porterai tutti i tuoi fogli e io diventerò il custode del tuo trauma.”

That’s it! Tutto qui, facile no?

Ecco no, non è così facile, perché la cosa interessante che spiegano le colleghe nel libro è che se la tecnica viene applicata adeguatamente ha un potere di risoluzione del problema notevole… “se viene applicata adeguatamente.”

Eh sì, perché la cosa più difficile è proprio far sì che la persona si metta lì a scrivere.

D’altronde chi ha voglia davvero di ripercorrere un evento traumatico? Queste sono le situazioni in cui linguaggio suggestivo evocativo si rivela. utile perché aiuta la persona a superare quella normale e comprensibile inclinazione che abbiamo tutti a evitare la sofferenza.

È proprio questo il motivo per cui noi nella nostra scuola di specializzazione in psicoterapie brevi sistemico strategiche facciamo molte esercitazioni per aiutare a sviluppare questo linguaggio e ci sono anche dei corsi con Gennaro Romagnoli, aperti agli esterni, dove lui aiuta proprio le psicologhe e gli psicologi, sia della nostra scuola sia appunto esterni, ad aumentare le proprie capacità di uso del linguaggio suggestivo ed evocativo.

Tuttavia se si supera questa impasse è una tecnica davvero incredibile. A mio parere è davvero molto efficace per quelli che oggi vengono chiamati come “traumi semplici”.

D’altronde se ci pensi se c’è un evento facilmente, nettamente identificabile, come un “prima” e un “dopo”, beh è anche più facile raccontarlo e confrontarsi con esso.

In particolare in un’ottica strategica le tentate soluzioni sono fortemente correlate all’evitamento materiale, ma anche psicologico, del trauma e di ciò che vi è connesso.

Con questa tecnica di scrittura quindi ovviamente si va a rompere quella catena di evitamenti in un modo graduale e relativamente sicuro.

Naturalmente questo va bene sia per eventi floridamente traumatici che per quelle condizioni più lievi che generalmente, quando va bene, vengono diagnosticate o etichettate come “disturbi dell’adattamento”.

E nei traumi complessi?

Nei traumi complessi, i cosiddetti traumi complessi, la storia è un’altra, perché non c’è tanto un evento identificabile ma una serie di eventi, e spesso nemmeno concretamente identificabili.

Personalmente sono allora d’accordo con chi uscirebbe da questa etichetta diagnostica a volte fuorviante. Etichettare come “trauma complesso” può portare a unire tante singole perline con un solo filo, e poi andare a concentrarsi o sulle singole perline o sotto il filo quando il problema in realtà è altrove.
Il problema è come quelle perline, cioè quegli eventi, hanno impatto, riverbero nell’oggi.

In altre parole nel modo in cui la persona vive l’oggi, le significazioni odierne, i comportamenti attuali.

Va beh, magari di questo ne parliamo un’altra volta quindi se ti interessa attiva le notifiche del canale e se hai qualche commento a riguardo puoi scriverci su.

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