Come si può abbreviare la durata della terapia di coppia?
In realtà ci sono tanti modi, e di sicuro c’è tutta l’impostazione legata al modo di fare terapia con le terapie brevi.
Per sapere di che cosa parlo puoi andarti a rivedere il video sulla definizione del problema “Definizione dell’Obiettivo”, sul concetto di “Tentata Soluzione Disfunzionale”, sul fatto di stare sul presente e sugli aspetti interazionali, e via dicendo.
E, naturalmente, ci sono anche delle tecniche specifiche che puoi andare a utilizzare e che facilitano e velocizzano il lavoro con le coppie: una di queste è la tecnica di “Rapoport”, così come descritta da Paul Watzlawick in libri come “Di bene in peggio”.
Questo peraltro è un libretto divulgativo, ma qui ci sono molte cose preziose, tra cui una bella descrizione della tecnica.
Dice Watzlawick: “tornando la formula del ‘so benissimo cosa pensi’, voglio citare il logico austro-canadese Anatole Rapoport che, già nel 1960 nel suo libro “Fights, Games and Debates”, aveva descritto, sia pure di sfuggita, un’interessante tecnica di soluzione dei problemi: in caso di contrasto, anziché chiedere a ciascuno schieramento di esporre la propria definizione del problema, Rapoport propone di far esporre allo schieramento A, in presenza dello schieramento B, il punto di vista dello schieramento B.
Ciò deve avvenire nel modo più preciso e completo possibile, finché lo schieramento B non si riconosca d’accordo con i contenuti dell’esposizione. Successivamente”, conclude Watzlawick, “tocca allo schieramento B di spiegare le posizioni dello schieramento A, finché quest’ultimo non si dichiari soddisfatto.” In estrema sintesi, all’interno della coppia, la tecnica consiste nel chiedere a un partner di portare il punto di vista dell’altro: questo permette di colmare eventuali gap, trovare possibili accordi, e aggiustare continuamente il tiro e, nel momento in cui la declini sui punti essenziali di una seduta, ne beneficia tutta la terapia.
Spieghiamoci meglio.
Come detto, due punti essenziali nella Terapia Breve consistono nella definizione del problema e nella definizione dell’obiettivo. Ora immagina di chiedere al partner A quale sia il problema secondo il partner B.
Ad esempio in seduta con i due membri della coppia io potrei dire: “Mario, se io chiedessi a Giorgio, che è qui presente, qual è il problema tra voi due secondo lui, lui cosa mi risponderebbe?”.
Una volta che Mario fornisce il suo punto di vista su quale sia il problema secondo Giorgio, io chiederò a quest’ultimo se effettivamente le cose stanno così e potranno succedere due cose: numero 1 Giorgio conferma, e allora abbiamo una visione condivisa di quale sia il problema; ovviamente poi farò la stessa cosa con lui e gli chiederò quale sia il problema dal suo punto di vista secondo Mario;
numero 2 Giorgio nega, dice che Mario si sbaglia, che non è completamente così, e allora a quel punto io gli chiedo di dirmi qual è il problema secondo la sua opinione.In quest’ultima evenienza arriveremo comunque a una definizione del problema, secondo Giorgio, molto più puntuale, e poi naturalmente chiederò a Giorgio, come detto prima, di fare la stessa cosa con Mario.
Insomma, chiedi a uno quale sia il problema secondo il punto di vista dell’altro, poi chiedi conferma questo e fai di nuovo lo stesso processo chiedendogli quale sia il problema secondo il punto di vista dell’altro partner.
Ovviamente, benché Watzlawick non ne abbia parlato così, quale sarà il procedimento successivo, il passo successivo?
Fare la stessa cosa con la definizione dell’obiettivo.
Una volta che c’è l’accordo sul problema, chiederò a Mario qualcosa del genere: “Mario, se io dovessi chiedere a Giorgio qual è la cosa che vi farà dire, gli farà dire che il problema è risolto, lui che cosa mi risponderebbe?”.
A volte, poi, sono più specifico e, anziché chiedere “che cosa mi direbbe giorgio che dovrebbe accadere”, magari posso chiedere “che cosa migliorerebbe Giorgio che devi fare tu, Mario affinché il problema sia risolto?”.
E anche qui poi, ovviamente, chiederò a Giorgio se Mario ha detto bene, oppure se c’è qualcosa che deve aggiustare.
In questo modo hai una definizione del problema e dell’obiettivo che è congiunta, che fa sì che entrambi i partner evitano dei contrasti e raggiungono, per l’appunto, un accordo congiunto su cos’è il problema e cosa va fatto.
In più hai favorito l’ascolto reciproco sia chiedendo ai due di mettersi l’uno nei panni dell’altro, sia dando la possibilità di chiarire meglio il proprio punto di vista.
Watzlawick, per lo meno in questo libro, si limita a parlare della definizione del problema, però io la trovo molto utile questa tecnica se viene utilizzata anche per altri aspetti della terapia.
Ad esempio la utilizzo nella tecnica della Scala, integrandola in essa: quest’ultima l’ho già illustrata in altri video, quindi puoi andare a vedere il video dove parlo della tecnica della Scala, e qui non mi ripeto.
Mentre la sua declinazione rapaportiana prevede gli stessi passaggi già visti adesso: chiedo a Mario e a Giorgio dove si pongono in una scala da 0 a 10, e poi chiedo a entrambi di dirmi, secondo il punto di vista dell’altro, di che cosa necessiterebbero per arrivare un gradino più in su.
Ovviamente, poi, tutto questo mi può servire per costruire i compiti o per ristrutturare i significati e via dicendo.
Insomma, utile tecnica, buona per il lavoro con le coppie, per abbreviarlo e renderlo ancora più organizzato.
Non è semplicissima da apprendere, c’è bisogno di un po’ di fatica, però non è nemmeno troppo complicata:
per esempio sempre nella nostra Scuola di Specializzazione in Terapie Brevi Sistemico-Strategiche, che tra l’altro parte con il nuovo anno a fine gennaio,
facciamo fare molte esercitazioni sugli studenti per apprendere tecniche come questa.
Una volta che l’avrai maneggiata un po’, ti renderai conto della sua utilità e versatilità, quindi vale davvero la pena mettersi sotto per apprenderla e per padroneggiarla al meglio…
…tu che ne pensi?
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