Gli psicologi dovrebbero parlare di se stessi con i propri pazienti?
Questa è una domanda che mi fanno spesso durante le mie formazioni, in particolare quando faccio delle dimostrazioni: in quell’occasione, infatti, non è raro che faccia degli esempi personali o che racconti delle vere e proprie parti della mia vita e non solo, perché uso tantissime storie relative ai miei amici e conoscenti, quindi oltre a parlare di me parlo di loro.
Ma ha senso farlo? E, soprattutto, è utile? Tagliamo subito la testa al toro e diciamo subito che: Si, ha senso ed è utile.
Posso dirti, anzi, che una lunga e approfondita serie di studi hanno dimostrato innanzitutto che:
A) l’auto svelamento può essere utile e di aiuto;
B) è utilizzato all’interno di approcci terapeutici di diverse culture;
C) è utilizzato più o meno comunemente all’interno di quasi tutti gli approcci terapeutici.
Nella descrizione del video ti incollo qualche ricetta, così giusto per darti un’idea, peraltro ti invito anche ad iscriverti al mio canale per essere aggiornato tutte le volte che esce un nuovo video.
In questo video, però, mi premeva più che altro darti qualche informazione su che cos’è l’autosvelamento, come funziona, e in che modo può essere utile.
L’argomento, in realtà, è talmente vasto che ci potrei fare un mini corso, quindi taglierò con l’accetta le questioni in merito giusto per darti qualche idea.
Innanzi tutto, per farla breve, con “autosvelamento” intendiamo il racconto di parti di sé in terapia a fini terapeutici. Quando, invece, parlo di miei amici e conoscenze, invece, stiamo parlando del racconto di storie, di cui, magari, farò un altro video, che però ha dei punti comune con l’autosvelamento. In quest’ultimo caso, comunque, in pratica parli di aspetti tuoi, della tua vita personale, proprio per dei fini terapeutici. Puoi farlo in forma di storia, raccontando qualcosa di te, ma anche facendo delle considerazioni personali.
Ovviamente ci sono delle caratteristiche dell’autosvelamento terapeutico che lo distinguono da “il parlare di se stessi in altri contesti”: c’è l’assenza di giudizio nel senso che, quando parli di te nella terapia, non devi avere dei messaggi giudicanti verso il tuo paziente.
Non devi, cioè, rischiare di comunicare direttamente o indirettamente al tuo cliente “questo è il mio modo di fare le cose ed è quello giusto, mentre il tuo è sbagliato”. C’è l’autenticità, che non ha tanto a che fare con la verità della storia raccontata, quanto con il non utilizzarla per calarti in un ruolo diverso dal tuo: se stai raccontando te stesso non vuoi assumere il ruolo di una figura genitoriale, o comunque in qualche modo una figura lontana da chi sei tu.
E c’è, ovviamente, il fine etico e quello terapeutico: non sei lì per metterti in mostra a far vedere quanto sei bravo e quanto è figa la tua vita, e men che mai per sfogarti con il tuo cliente delle cose che non vanno.
Devi avere ben chiaro perché stai utilizzando l’autosvelamento e come funziona, e devi aver studiato come funziona, non puoi limitarti a parlare di te: stiamo, infatti, comunque parlando di un intervento terapeutico.
Pensaci: noi tutti facciamo domande e cerchiamo di aiutare con le parole i nostri cari, ma questo è ben diverso dal farlo con i nostri pazienti. In quest’ultimo caso abbiamo studiato per aiutare con le parole chi viene a chiedere aiuto a noi. Allo stesso modo noi tutti parliamo di noi stessi, ci apriamo, raccontiamo, ci disveliamo con gli altri, ma questo è ben diverso dal farlo invece con intenzione terapeutica. Precisato questo, a che serve farlo?
Ad un sacco di roba, e, peraltro, diversi orientamenti terapeutici sottolineeranno diverse motivazioni. Quindi, senza pretesa di esaustività, ve ne dico alcuni: innanzitutto è utile per la relazione terapeutica. Ad esempio riduce la distanza con la persona, perché parlare di noi aumenta la familiarità, e con alcuni clienti aiuta a diminuire la distanza e a sentirti più vicino; oppure facilita l’empatia, sia quella cognitiva che quella emotiva, poiché puoi raccontare di te alla persona per mostrare che capisci cosa sente, cosa intende.
Inoltre autosvelarsi è utile come intervento indiretto: puoi raccontare di te per facilitare un processo di elaborazione attraverso una storia. Questo, se ci pensi, lo puoi fare benissimo senza parlare di te però ci sono delle ragioni per le quali farlo attraverso una storia personale può rivelarsi più adeguato.
Oppure puoi raccontare di te per trasmette determinati significati che, se li raccontassi in modo diretto, non avrebbero lo stesso effetto oppure potrebbero addirittura essere negativi.
In tal senso l’autosvelamento può essere molto utile per aggirare la resistenza, se vogliamo usare questo costrutto psicologico: ricorda che, spesso, la resistenza siamo proprio noi terapeuti a crearla con le nostre comunicazioni; va da sé, allora, che certi contenuti potrebbero essere più facilmente accettati se messi sotto forma di storia indiretta, personale, anziché come un suggerimento diretto e personale.
Stando poi su dei suoi effetti più diretti, l’autosvelamento può essere, laddove appropriato, un modo per porci come modelli. Ovviamente non stiamo mirando a far vedere come si fanno le cose o dire, appunto, che noi siamo nel giusto, però in alcuni modi di intervento pensare al mentoring può essere molto utile. Ma più in generale può essere molto d’aiuto a trasmettere modalità interazionali che possono essere di aiuto, appunto, per la persona, oppure anche a normalizzare certi suoi vissuti e comportamenti.
In tal senso, punto caro per chi adotta una prospettiva cognitivista, l’autosvelamento può essere utile per favorire il processo di metacognizione: sentire la storia di qualcuno ci permette di riflettere sulla nostra storia, sui nostri significati, sul nostro modo di percepire, reagire, e interagire con gli altri.
Olé, carrellata di possibilità che, da un lato, va sicuramente riascoltata, data la mole di informazioni date, da un altro lato va sicuramente approfondita, data la sinteticità con cui l’ho dovuto affrontare, e dall’altro lato ancora ancora va sicuramente ampliata ad altri possibili usi dell’autosvelamento.
Ma questa…
…è un’altra storia
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