Questo è il cruccio di tutti i terapeuti: se il paziente non migliora che faccio?
Posto che ci sono due milioni e mezzo di motivi se il paziente non migliora, ci sono anche dei dati molto interessanti dalla ricerca. Ad esempio studi come quelli di Lambert, pubblicati nel bellissimo “The Heart and Soul of Change”, dicono che se il cambiamento non arriva nelle prime 7-8 sedute, c’è un’altissima possibilità d’insuccesso: tipo il 90%.
Questo è fondamentale, ragazzi: se stai vedendo una persona da 7-8 sedute e non è cambiato niente, o quasi, faresti meglio a rivedere i tuoi piani, probabilmente dovresti inviarla a qualcun’altro, o comunque modificare completamente la tua strategia. Questo è il motivo per cui io dico a tutti i miei clienti che, se non vedo cambiamenti per 3-4 sedute consecutive, io mi fermo.
D’altronde ragazzi i dati sono dati, ma anche l’esperienza empirica mostra che se per 3-4 sedute consecutive non cambia niente si vede che sto toppando qualcosa, mi manca qualche pezzo e probabilmente nelle sedute successive non lo recupererò. Poi non è che mollo la persona così “ciao, ciao ci vediamo”, se ne parla, spesso si trovano delle soluzioni insieme, però se non dovesse essere così faccio come ha suggerito Milton Erickson: metto in pausa il mio desiderio di onnipotenza, accetto i miei limiti e soprattutto libero la persona da una terapia che non sta funzionando.
Ma detto questo, c’è qualcosa di pratico che puoi fare se il paziente non migliora? Ebbene si, ci sono tre cose che puoi fare, anzi, meglio ancora!
Infatti, proprio a seconda del punto della terapia in cui non migliora, cioè del numero di sedute che hai fatto, puoi fare delle cose differenti. Uno: se ti trovi tra la seconda e la
quarta seduta, e non vedi dei miglioramenti, quello che dovresti fare è andare a fare dei piccoli cambiamenti rispetto all’alleanza terapeutica. Questa la sappiamo un po’ tutti, però
tendiamo a scordarcela: i drop out delle primissime sedute sono generalmente legati all’alleanza terapeutica. Cioè la persona è venuta ma non si è trovata bene, mettiamola così.
Ma in che senso? Nel video “4 modi per migliorare l’alleanza terapeutica” davo già qualche idea: infatti l’alleanza si fonda anche sull’avere un obiettivo condiviso, dei modi di fare terapia condivisi, e anche un’immagine del ruolo del terapeuta, di come deve essere, che concordi con quella che ha in mente il paziente. Senza che vada a ripescare quello che ho detto in quel video, che nel caso ti puoi andare a rivedere, il punto cruciale rimane questo, se nelle prime sedute cambia poco o niente ti devi assicurare di tre cose: che il cliente sia d’accordo con l’obiettivo da raggiungere o che magari l’abbia definito bene; che i metodi che utilizzi gli sembrino adeguati e sensati; e che il modo in cui ti poni, il ruolo che assumi si confà a ciò che lui si aspetta.
Se invece ti trovi tra la sesta e l’ottava seduta e non ci sono dei miglioramenti significativi, allora devi pensare a dei cambiamenti più grandi. Ora la cosa interessante è che, in questo, questi studi dicono così: prima dicono tra la seconda e la quarta, e poi ti dicono tra la sesta e l’ottava. Quindi se ti trovi nella quinta seduta e non ci sono miglioramenti, sei spacciato, perchè non sai, nessuno sa che cosa bisogna fare!
A questo livello, tra la sesta e l’ottava seduta, probabilmente l’alleanza è solida, altrimenti il paziente ti avrebbe già salutato, quindi quello che devi cambiare è qualcosa a livello di intervento.
Magari devi fare della sedute più ravvicinate, oppure devi fare un lavoro che coinvolga un’equipe, oppure cambiare altri elementi della tua strategia. Non posso essere più preciso di così perché puoi immaginare che tutto dipende dalla persona che stai vedendo e dal tipo di lavoro che state facendo insieme, però il punto nodale è semplice: c’è qualcosa che non funziona in quello
che state facendo, quindi devi cambiarlo. E se siete alla decima seduta, o anche oltre, quello che serve è un cambiamento radicale. Se dopo 10 sedute non ci sono cambiamenti significativi, o cambi totalmente terapia o cambi terapeuta. Eh si ragazzi, qua ti devi fare un bell’esame di coscienza e devi prendere atto del fatto che, probabilmente, l’approccio che stai utilizzando non funziona per quella persona. Nulla di strano ragazzi, le cose vanno così, gli studi ce lo dimostrano, ed è il motivo per cui all’interno della nostra Scuola di Specializzazione in Psicoterapia dell’istituto ICNOS noi utilizziamo quattro modelli diversi.
Il motivo è che in questo modo il terapeuta è in grado di applicare modelli diversi a persone diverse a seconda delle esigenze e non trovarsi in questo impasse. Ovviamente si tratta di modelli che
hanno delle epistemologie in comune, dei tratti teorici comuni in modo che non andiamo a saltare di palo in frasca come magari può succedere con alcuni approcci che sembrano integrati, ma poi non lo sono. È un modo, invece, di riuscire a cambiare modo di lavorare a seconda di chi hai di fronte, adattandoti a chi hai di fronte. Se però non conosci altri modelli all’infuori di quelli che hai utilizzato fin lì, dovresti fare un invio. Non è che sei tu a non andare bene, è l’approccio. O magari si, sei tu, chi lo sa, però il punto è che è davvero diabolico insistere: prendi atto che sei umano, come me, come i tuoi colleghi, come tutti gli psicologi, e psicoterapeuti, e psichiatri, e operatori della salute mentale, e professionisti del mondo e che non puoi aiutare chiunque, ovunque, in qualunque spazio. Questa la capiscono solo quattro persone, ma va bene così.
Ecco qui tre suggerimenti, 3 per sapere che cosa fare, per comunicarvi che cosa fare quando il paziente non migliora, e che spero siano utili. Io li ho trovati molto utili perché è una buona bussola da seguire quando ci sentiamo bloccati e abbiamo bisogno di capire il perché. Tienili a mente nella tua pratica clinica,e vedi come applicarli perché di sicuro,se quello che stai facendo non sta
funzionando, cambiare strategia…
…è la scelta migliore.
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