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Incrementare qualcosa con lo scopo di ridurla è il tipico intervento di natura paradossale.

Sicuramente la Terapia Breve,  in particolare quella strategica, deve gran parte del suo fascino agli interventi paradossali, ma come funzionano di preciso? In questo nuovo video per psicologi non pretendo di essere esaustivo, come sanno bene gli studenti della mia scuola di specializzazione in Psicoterapie Brevi Sistemico Strategiche non si può riassumere in cinque minuti, sei minuti, sette  minuti il discorso degli interventi paradossali:

considera solo che tra i  primissimi terapeuti ad utilizzare interventi paradossali c’è  Alfred Adler, allievo di Freud, quindi immagina fin dove potremmo
arrivare a parlare di questo argomento. Sintetizzando al massimo, allora, potremmo dire che in psicoterapia gli interventi paradossali sono quegli interventi in cui si lavora andando esattamente  nella direzione dalla quale si vorrebbe rifuggire. È una descrizione ampia e  poco definita, ma l’ho pensata proprio perché esistono diversi
tipi di interventi paradossali.

Ad esempio, tra i più noti, ci sono  le prescrizioni paradossali,  cioè dei compiti che tipicamente  si danno tra una seduta e l’altra. E generalmente al cliente si può
chiedere proprio di mettere in atto il comportamento che vorrebbe veder sparire. in atto il comportamento che vorrebbe veder sparire:

questo fa sì che tali interventi si rivelino più utili  specialmente con i comportamenti sintomatici che sono fuori dal nostro controllo,  come le ossessioni o le compulsioni, però vanno in generale bene per  tanti sintomi di natura ansiosa. Hai un tic?  Fallo volontariamente ogni ora. Balbetti?  Balbetta ancora più del solito in modo volontario.  devi lavarti le mani per ogni cosa che tocchi? Fallo un numero preciso di volte. Poi anche la relazione in seduta può essere connotata da delle interazioni paradossali: per esempio, di fronte a un cliente che non migliora, anziché incoraggiarlo e supportarlo,

si potrebbe seguirne le lamentele e dire che in effetti forse la situazione deve rimanere così com’è.

Generalmente un intervento di questo genere rientra all’interno delle cosiddette prescrizioni della resistenza: si può chiedere ai clienti addirittura diresistere ancora di più al trattamento. Sul versante completamente opposto c’è l’intervento di connotazione positiva, che è stato elaborato dalla scuola di Milano di Selvini-Palazzoli, ed è praticamente il dire che un certo sintomo, quindi qualcosa di negativo,  un comportamento sintomatico, era in realtà positivo perché, ad esempio, serviva a tenere unita la famiglia.

Nel mio studio delle logiche sottostanti gli interventi di Terapia Breve, quelli paradossali rientrano nella logica dell’incrementare per ridurre, perché sembra proprio questa la logica seguita da questo tipo di interventi. Ma com’è possibile che funzionino queste tecniche? Tra le varie spiegazioni quella che preferisco l’ho letta nel libro “La psicoterapia tra miti e realtà”, del collega Fabio Leonardi.

Immagina il sintomo, o il comportamento, come un sistema: ora tu sai che un sistema è un insieme di elementi che formano un tutto unitario, sono connessi tra loro e formano un tutto unitario e dalle lezioni di psicologia della famiglia o dalle teorie degli insiemi che hai studiato alle medie sai che, se cambi un elemento all’interno del sistema, questo cambiamento si rifletterà su tutti gli altri elementi, che cambieranno a loro volta e, alla fine, cambierà l’intero sistema.

Ora, se tu chiedi ad una persona di fare volontariamente qualcosa che è vissuto come involontario, tipo il sintomo, o che comunque percepisce come fuori dal suo controllo, oppure come negativo o, in generale,  da contrastare, ecco, se tu gli chiedi di farla quella cosa, stai andando a cambiare un elemento di quel sistema. Anziché continuare a subirlo, viverlo male, o opporsi ad esso, la persona cambierà tanto il suo comportamento quanto il suo atteggiamento, e poi, di conseguenza, i significati connessi ad essi.

Negli anni gli interventi paradossali si sono dimostrati molto efficaci ed efficienti e alcune terapie, come la Terapia Strategica, ne hanno proprio fatto il proprio cavallo di battaglia. Tuttavia non è assolutamente automatico padroneggiarli, anzi io sconsiglio qualunque collega di utilizzarli senza un’adeguata formazione. Può sembrare facile, no? “Che ci vuole?”, può dire lo psicologo ingenuo.

“Basta che io chiedo al paziente di fare esattamente quella cosa che sta cercando di contrastare,  e fatto! Un paradosso!”

Ecco no.

A parte che ci sono situazioni in cui gli interventi paradossali sono inefficaci, se non proprio sconsigliati, questo vale per tutto se ci pensi: qualunque strumento può essere molto valido per certe cose, ma sarà sicuramente inefficace per altre e sconsigliato per altre ancora. Poi devi saper adattare l’intervento, ad esempio sapendo su quale canale andare ad agire con  l’intervento paradossale. Inoltre c’è una cosa che tutti si scordano, ma che è stata detta fin dal 1974 da Paul Watzlawick e colleghi nel loro libro “Change”
che è lassù e non mi va di prenderlo, e che è fondamentale: proprio per la peculiarità di questi interventi il setting va costruito ad hoc. Tanto il linguaggio, verbale e non verbale, quanto tutta la costruzione della seduta, dalla narrazione alla relazione, devono andare
nella direzione dell’intervento paradossale, altrimenti ,semplicemente, i  clienti non lo mettono in atto.

Ma non è solo questo. Come per qualunque tecnica  di qualunque disciplina, se non la sai usare adeguatamente  bene che va non succede niente, ma se va male farai dei danni ai tuoi clienti e,  se per la tua impreparazione finirai per danneggiare le persone anziché aiutarle, allora sì che ti troverai in una situazione…

…davvero paradossale.

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