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La telemedicina sostituirà l’incontro di persona?
L’opinione nell’articolo dell’Harvard Business Review Where Telemedicine Falls Short, di David Blumenthal, è sintetizzabile citandone una frase: “telecare will work best when it is adapted to humans and their needs rather than the reverse”.
Lo stesso vale per la psicoterapia online.
L’articolo non cita dati e ricerche – che ne pensano gli utenti? Per quali patologie è preferibile un mezzo a un altro (Nota: nell’articolo si parla di “medicina”)? Come impatta sull’efficacia e l’efficienza dell’intervento?
È più un articolo di opinione di un (rispettabile, certo) clinico. Il che ci porta a pensare a due strade, distinte ma parallele:

1) La clinica non è la ricerca

Che siano ambiti in parte sovrapposti, complementari, essenziali entrambi, è certo. Ma non sono la stessa cosa.
Ad esempio, per citare un caso attuale, hanno ragione, secondo me, gli epidemiologi a dire ai clinici di smetterla di fare affermazioni come “A me sembra che il Coronavirus stia perdendo forza perché vedo casi meno gravi”: la seconda parte della frase (“i casi che vedo io sono meno gravi”) è un giudizio clinico (peraltro sottoposto a bias quali l’euristica della disponibilità), mentre la prima parte (“il Coronavirus sta perdendo di forza, è meno grave, è meno diffuso ecc.”) è un giudizio epidemiologico o statistico.
Per farla semplice: potrai vedere anche 10, 50 persino 100 pazienti al giorno, ma questo non basta per fare una valutazione statistica/epidemiologia. Ai partecipanti del corso di specializzazione in Epidemiologia non hanno detto: “Le cose funzionano così: prendi i pazienti che vedi in studio, fai una media a occhio dei sintomi che vedi, e poi generalizza i risultati alla popolazione”. Chiunque abbia un minimo di conoscenze di statistica dovrebbe sapere queste cose.
E poco cambia se il clinico si basa su dati provenienti dai tamponi. Anche in questo caso, l’epidemilogia non è “lo studio della somma dei tamponi fatti”. Trilussa già ci illustrava la complessità della statistica quando affermava che essa è quella cosa per cui se tu mangi un pollo, e io non mangio un pollo, statisticamente abbiamo mangiato mezzo pollo a testa. E se questo viene solitamente usato come sarcastico esempio per smontare tale disciplina, l’attimo successivo dovrebbe farci riflettere sul fatto che forse, essa, è più complessa di quello che riteniamo – e se ci sono esami, persino intere specializzazioni in Statistica Sanitaria, magari dovremmo umilmente chiederci se ne sappiamo abbastanza da poter fare con facilità determinate affermazioni.
Quindi, tornando su, un articolo che dica “Secondo me la telemedicina non risolve tutto” rappresenta un’interessante opinione, ma poi, come diceva Edward Deming, “Di Dio ci fidiamo, tutti gli altri devono portarci dei dati”: e devono essere quelli giusti.

2) La ricerca non è la clinica

Tanto che in inglese ci sono due termini per distinguere due diversi tipi di efficacia: efficacy, cioè l’efficacia diciamo a livello statistico, e l’effectiveness, cioè l’efficacia clinica.
Per capirci: uno studio può dimostrare che una terapia porta dei pazienti depressi a un miglioramento sintomatico e di benessere generale; ad esempio, alla fine del percorso riprendono l’appetito, si sentono “un po’ meno tristi” e hanno un miglioramento di 3 punti sulla Beck.
A livello statistico la terapia ha indubbiamente mostrato una certa efficacia (efficacy). Ma a livello clinico la differenza (avere più appetito, sentirsi un po’ meno tristi e in generale un po’ meglio) potrebbe essere irrilevante per la persona: un po’ come dire che se a mille persone diamo un farmaco contro l’influenza, e al 90% di queste la febbre scende da 40 a 38, il dato è sicuramente statisticamente significativo, ma clinicamente non abbiamo curato l’influenza.
Questo porta a una considerazione più generale, peraltro base del dibattito sul (contro il?) managed care, cioè su un’assistenza sanitaria sempre più basata sui numeri – e cioè sulla considerazione che “tutti gli altri devono portarci dei dati” (in particolare su quelli economici), a patto che non si confondano i dati con le persone.
Detto in termini chiari, se la statistica ci dicesse che il 90% delle cure telematiche sono efficaci quanto quelle dal vivo e per di più anche meno costose, sarebbe un errore gridare: “Eureka! Allora sostituiamo tutte le cure di persona con quelle telematiche, così riduciamo i costi senza intaccare l’efficacia”.
Infatti, così facendo, ti scorderesti due persone: gli utenti che non amano le cure telematiche e i clinici che parimenti non le amano.
È come se, siccome le moto inquinano meno delle auto, costringessi tutti a usare le moto: finiresti per avere una serie di piloti che funzionano bene su 4 ruote, ma male su 2.
Senna era un genio della Formula 1, ma non significa che sarebbe stato un grande pilota di MotoGP.
Quindi, telemedicina o no? La psicoterapia online sostituirà quella dal vivo?
Tornando all’inizio, non possiamo far altro che ripeterci: “telecare will work best when it is adapted to humans and their needs rather than the reverse”, dove gli “humans” sono tanto i pazienti, quanto i professionisti.

Riferimenti

Blumenthal, D. (2020 Jun 30). Where Telemedicine Falls Short. Harvard Business Review. Sito web: https://hbr.org/2020/06/where-telemedicine-falls-short?utm_medium=email&utm_source=newsletter_monthly&utm_campaign=healthcare_not_activesubs&deliveryName=DM93297

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