Da cosa devi partire nel lavoro con i tuoi pazienti: dal sintomo o da altro? I problemi psicopatologici possono strutturarsi su più livelli: sintomi, comportamenti, relazioni, esistenza…
Ma da quale di questi dovremmo partire?
Ci sono tante proposte, tante idee, non voglio assolutamente darne una unica, o pensare che ne esista un’unica, però una distinzione interessante e utile, soprattutto per chi magari si approccia all’inizio, l’ho trovata all’interno de “Il cambiamento strategico”, di Giorgio Nardone e Roberta Milanese. Gli autori del libro distinguono tre tipologie di problematiche.
La prima è rappresentata da quelle problematiche in cui la sintomatologia corrisponde al problema: attacchi di panico, fobie, ossessioni, anoressia, binge eating, e così via. Da dire che considero alcune di queste problematiche più appropriate di altre, però la sostanza è che gli autori fanno rientrare qui, in questa tipologia, i problemi in cui il disagio corrisponde al sintomo.
Generalmente, sostengono gli autori, queste sono anche le problematiche che richiedono meno tempo in assoluto. Ci sono invece poi le problematiche che si protraggono da tempo: di nuovo anche quella sintomatologia corrisponde al problema, ma si è protratta per così tanto tempo da andare a creare altre complicazioni. Così il collega, che prima sarà solo dubbioso quando ho citato l’anoressia, comprenderà che è molto diverso se si affronta questo problema quando è insorto da pochi mesi o da un po di anni. In questi casi, infatti, il lavoro da fare sarà diverso perché bisognerà anche andare a lavorare su tutta quella rete di interazioni e relazioni dinamiche che si sono adattate alla sintomatologia e al problema portato. La terza categoria è quella
delle patologie maggiori e dei gravi disagi: psicosi, borderline, disturbi di personalità, depressioni maggiori e via dicendo.
Se hai visto i miei video sui disturbi di personalità sai già come la penso, ma diciamo che qui rientrano tutti quei problemi che sono fortemente strutturati o fonti di disagi intensi e diffusi.
Forse hanno tutta una serie problematiche che non sono magari tanto legate al sintomo, che possono essere anche di tipo più esistenziale, ma che facilmente possiamo far rientrare
in una di queste categorie. Ecco, il suggerimento degli autori è quello di partire dal sintomo per poi, dopo, andare a fare un lavoro contestuale, se necessario, sulle problematiche, se dovessero esserci, che sono di contesto. Devo dire che questa è una linea guida spesso utile, la indichiamo anche ai nostri studenti della scuola di specializzazione, soprattutto per chi sta avviando la propria professione, ma che può ritornare utile in diversi casi. Da un lato, infatti, aiuti la persona che porta qualcosa di acuto a liberarsene velocemente, considerando che spesso il drop out nelle prime sedute è dovuto ad una mancanza di alleanza sugli obiettivi della seduta, e questo può andare a sopperire a questa mancanza. E anche considerando che un drop out,
invece, nelle successive cinque/sei sedute, spesso è dovuto al fatto che il cliente non percepisce utile la terapia perché magari non si sta riducendo la sintomatologia che ha portato, ecco che in questo modo viene sopperita anche questa mancanza. E dopo averlo aiutato con i sintomi, potrai andare a lavorare sulle problematiche di contorno, se ci sono: sono quelle difficoltà meno acute, ma più pervasive che entrano all’interno dei dettagli della giornata della persona, e tu devi andare lì ad aiutare a scardinarle migliorando le relazioni, la “autostima”, ci metto le virgolette perché è un costrutto che necessita una forte spiegazione, il lavoro, le idee, il resto. Ma dall’altro lato, poi, eviti anche di patologizzare: eviti, cioè, di trattare qualcosa con più risorse del necessario e metti, invece, la persona al centro dandogli le sue competenze, eviti di andare a lavorare su tutta la montagna quando, invece, ti potevi concentrare su un singolo albero.
Peraltro questo ti consente anche di focalizzare meglio le strategie da usare, infatti le patologie più sintomatologiche possono rispondere più facilmente a delle strategie mirate e focalizzate su di esse. Devo dire che anche questa non è una cosa che funziona sempre così, anzi a volte un lavoro sul processo può essere molto utile e dare dei risultati in tempi brevi, però di nuovo
come linea guida non è niente male. Dall’altro lato, per lavori più chirurgici, di dettaglio, che devono calzare con precisione su aspetti particolari della vita, potrai usare delle tecniche più indirette o delle ristrutturazioni più diffuse. Naturalmente poi, in generale, partendo dal sintomo tu non vorrai andare a, come dire, fare in modo che situazioni di rischio oppure fortemente invalidanti o importanti vengano sottovalutate, diciamo che questo modo di procedere ti permette di non nuocere alla persona, ed evitare di mobilitare degli eserciti…
…per scacciare le zanzare.
Vuoi applicare le Terapie Brevi nella tua pratica?
Segui i miei video su You Tube.
Partecipa a una delle mie formazioni.
O contattami e chiedimi di più.
Lascia un commento