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Norma ha 32 anni e viene da una famiglia altamente problematica: degli otto figli quattro sono stati internati per problemi come alcolismo, psicosi o abuso di sostanze.

Arriva in terapia con una depressione grave, collegata alle pressioni della famiglia: le chiedono infatti di fare di più nel prendersi cura di una delle sorelle, recentemente internata per un problema di psicosi e tentativi di suicidio.

Inoltre Norma ha, da sempre, delle difficoltà dal punto di vista relazionale: vere e proprie problematiche sia con gli uomini, da un punto di vista sentimentale, che con uomini e donne del proprio ufficio.

Una diagnosi di personalità l’avrebbe posta nel Cluster B del DSM-IV, quello relativo alle condotte di comportamento drammatiche, emotive o disregolate. Norma infatti è spesso impulsiva o, addirittura, esplosiva, poi ha abusato di alcool e droghe, e solitamente tende a idealizzare i terapeuti con cui lavora.

Il lavoro del suo terapeuta si concentra innanzitutto su quella che lui chiama “una disincronia dello sviluppo”: la famiglia l’ha genitorializzata, ma è giusto che Norma, soprattutto a 30 e passa anni, inizi a trovare una sua autonomia e indipendenza, soprattutto da un punto di vista emotivo.

E così, in otto sedute, Norma impara a circoscrivere i confini con la sua famiglia, soprattutto da un punto di vista psicologico e interazionale. Norma si riappropria dei propri spazi, e a questo punto, dopo otto sedute, la terapia si interrompe e di Norma non si sa più niente per un anno, finchè non torna. Con la famiglia, racconta, di essere riuscita a mantenere un livello stabile: tutti i risultati che aveva ottenuto in quelle otto sedute, e adesso però ha bisogno di aiuto per la sua relazione con un uomo.

Ma da lì il passo è breve per Norma per decidere di lavorare in generale su il suo modo di relazionarsi con gli altri. Nei tre anni successivi Norma viene vista per altre dieci sedute, oltre a essere seguita per qualche altro incontro di follow-up e consolidamento finale. Alla fine del percorso, le relazioni di Norma con la famiglia sono ulteriormente migliorate, ha avviato un lavoro in proprio, in modo tale da poter gestire come preferisce le relazioni con i suoi colleghi e, pur non avendo intenzione di sposarsi o di avere delle relazioni a lunghissimo termine, ne ha stabilite diverse con dei partner a lungo termine e comunque soddisfacenti.

Il caso viene presentato all’interno di “Theory and Practice of Brief Therapy”, che ho citato diverse volte, ed è un esempio di trattamento in Terapia Breve con un problema che verrebbe diagnosticato come un disturbo di personalità. Gli ultimi video che ho fatto riguardano questo argomento, quindi non mi dilungo oltre. La cosa interessante è come il terapeuta abbia deciso di lavorare, di volta in volta, sulle problematiche che Norma gli portava, anziché cercare di curare la sua personalità.

Seppure dovessimo prendere in considerazione il costrutto di personalità, è innegabile che un lavoro fatto su determinati elementi, come le relazioni con la famiglia, con gli uomini, la sua capacità di porsi con i colleghi al lavoro, l’autostima, il senso di indipendenza, eccetera, andranno inevitabilmente a influenzare quei suoi stili d’interazione, di percezione, anche di narrazione di sé, più stabili e ridondanti. Inoltre il caso di Norma è interessante per la durata e frequenza della terapia. Gli autori ci fanno sapere che la terapia dura complessivamente cinque anni, con un anno di buco tra la prima parte, il lavoro con la famiglia, e la seconda parte, per un totale di 25 incontri, compresi i follow-up: un numero di sedute relativamente breve per un tipo di problematica che, di solito, si dice necessitare anni e soprattutto una frequenza settimanale, se non plurisettimanale di sedute.

Possiamo senz’altro dire che casi come questi ci dimostrano, ancora una volta, che non necessariamente quella deve essere…

…la “Norma”.

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