Quando ti trovi di fronte a un ipocondriaco c’è una cosa semplice ma efficace che puoi fare per aiutarlo: smettila di chiamarlo ipocondriaco!
Scherzo! Cioè no, non scherzo, sono serio, però c’è un’altra cosa semplice ma efficace che puoi fare per aiutarlo.
Prima però dammi un minuto per invitarti a smettere davvero di chiamarlo ipocondriaco e il motivo è molto pragmatico cioè il fatto che il linguaggio influenza il nostro pensiero e quindi le nostre azioni. Questa l’ho sentita talmente tante volte, però hai presente veramente in che modo il linguaggio influenza il nostro pensiero?
Ci sono una miriade di teorie a riguardo dato che questo è un argomento vecchio come il cucco, tanto per riprendere un modo di dire desueto, ormai, ma ancora foneticamente molto sfizioso. C’è un TED Talk di Lera Boroditsky che mostra una cosa molto interessante: una popolazione di aborigeni australiani, i Kuuk Thaayorre, per dare indicazioni non usa le parole “destra” e “sinistra”, ma i punti cardinali: Nord, Sud, Ovest, Est. Così, se vuoi chiedere a qualcuno di spostare la tazza un po più a sinistra devi dirgli di spostarla “un po più a nord-nord est”. E quando ci si incontra l’equivalente del nostro “Ciao” è “Dove stai andando?” e ovviamente la risposta deve essere contigua.
Ora perché ci interessa tutto questo e che a che fare con l’ipocondriaco? Ebbene si è dimostrato che, proprio per via di questo modo di parlare, i Kuuk Thaayorre hanno un senso dell’orientamento molto più sviluppato di qualunque altro essere umano. Semplificando, dover parlare utilizzando sempre in modo preciso, dovendo sapere sempre in modo preciso qual è la propria posizione influenza il proprio orientamento, la propria capacità di orientarsi nello spazio e di sapere dove ci si trova.
In parole povere: il linguaggio influenza il pensiero e le percezioni. Per fare un esempio che sarà caro agli amanti delle neuroscienze, dovete sapere che il cervello dei russi risponde molto più velocemente al cambiamento di gradazione del colore blu rispetto al cervello degli inglesi. Infatti gli inglesi usano comunemente la stessa parola “blue” per designare diverse gradazioni dello stesso colore, invece i russi usano comunemente diverse parole per diverse sfumature del colore blu.
Oppure qui in Italia se mi facessi, per esempio, il tatuaggio di una luna sulla schiena potreste associare la cosa a qualcosa di molto femminile, eppure in germania penserebbero che ho fatto qualcosa di molto maschile, essendo “luna” una parola maschile. Non è “la luna” ma è l’equivalente de…”il luno”.
Immaginate quale interpretazione diversa ne darebbe uno psicodinamico!
E qui arriviamo al nostro ipocondriaco. Ipocondriaco porta con sé una carrellata di informazioni, a partire da quelle che hai studiato nel tuo manuale di psicopatologia, che vanno benissimo sono utilissime finché non rimani incastrato all’interno della parola. Sapere che la scienza ci ha dimostrato che con una diagnosi di ipocondria ci sono spesso determinate cose va benissimo, è molto utile, purché tu non corra il rischio di trattare la diagnosi dimenticandoti della persona. E così l’invito che ti faccio è quello di bloccare la ricerca delle informazioni che la tua mente va a prendere per unire la persona che hai di fronte alla diagnosi che conosci di ipocondriaco e magari cercare di concentrarti su altro, ad esempio su quello che la persona effettivamente fa.
Infatti come puoi aiutare una persona che, convinta di avere un grande male, va alla costante ricerca di informazioni, rassicurazioni e sensazioni che lo confermino?
Bloccando la costante ricerca di informazioni, rassicurazioni e sensazioni.
D’altronde è semplice: se qualcosa non sta aiutando la soluzione, non sta aiutando a risolvere il problema probabilmente è perché è parte del problema. Se cercare costantemente su internet informazioni non funziona; se non funziona nemmeno chiedere costantemente rassicurazioni a medici, familiari ed amici; e se nemmeno funziona il costante monitoraggio del proprio corpo… allora è probabile che questi tre comportamenti stiano contribuendo al problema.
Questa peraltro è la tesi di un tipo di Terapia Breve, la Terapia Strategica: i problemi sono spesso mantenuti dalle azioni che noi mettiamo in atto per cercare di risolverli. Quindi, la prossima volta che ti troverai di fronte una persona che ha questa forte paura di avere un male, una prima cosa che potrai fare è andare a verificare se effettivamente mette in atto quei tre comportamenti che anche la scienza ci dice che sono tipici in questo tipo di persona: la ricerca di informazioni, la ricerca di rassicurazioni e il controllo costante del proprio corpo, delle proprie sensazioni corporee alla ricerca dei segni che confermino quella paura.
A quel punto meno limitato da distorsioni e pregiudizi teorici e, anche seguendo quel tipo di interventi che nel mio studio delle nuove logiche fanno riferimento alla logica del bloccare i comportamenti disfunzionali, potrai proprio indurla a bloccare quelle sue azioni ed a evitare invece che i tuoi pensieri, i tuoi costrutti…
…blocchino te.
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