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Ma la realtà oggettiva esiste? E, soprattutto, a noi psicoterapeuti cosa ce ne importa?

C’è un errore che fa chi ha letto il costruttivismo radicale senza averlo veramente capito: cioè dire che il costruttivismo radicale afferma che la realtà oggettiva non esiste.

Il costruttivismo radicale è un’epistemologia, cioè potremmo dire una forma di studio delle cose del mondo e di come la conoscenza scientifica le osserva e comprende. Perché non è che esiste una conoscenza scientifica. Esistono diverse conoscenze scientifiche, cioè diversi punti di vista da cui esaminare lo stesso oggetto. Il costruttivismo radicale è uno di questi punti di vista, ed è stato fondamentale per sviluppare la psicoterapia nei modi in cui la conosciamo oggi.

Ora l’errore enorme è quello di dire che il costruttivismo radicale sostiene che la realtà oggettiva non esiste. Ciò che infatti dichiarò il suo padre fondatore, Ernst von Glasersfeld, e con lui tutti gli autori che abbracciarono questo tipo di epistemologia, è che ciò che non esiste è la possibilità di raggiungere una conoscenza della realtà oggettiva.

Ad esempio se prendi una penna puoi dire che ha determinate caratteristiche: ad esempio è lunga e liscia, ma von Glasersfeld ci invita a ragionare sul fatto che non puoi confrontare questa tua percezione della penna con la percezione oggettiva della penna. Ogni percezione è una percezione di qualcuno, è una percezione di un soggetto. A meno di non voler scivolare nel solipsismo, possiamo quindi dire che una realtà oggettiva, cioè indipendente dalle nostre percezioni e da quelle di qualunque altro essere vivente, esiste, però è appunto impercepibile.

O meglio, Maturana e Varela, due biologi ed epistemologi cileni, ci direbbero che l’unica realtà percepibile è quella costruibile dal tuo organismo, dal tuo sistema se vogliamo. Secondo me questo concetto lo spiega magistralmente Paul Watzlawick, che sicuramente avrai sentito durante i tuoi studi universitari quando si parlava di psicologia sistemica e di assiomi della comunicazione umana.

Watzlawick, che ha dato grandissimi contributi al costruttivismo radicale, fa un esempio con i colori: dice che noi possiamo vedere i colori che vediamo perché il nostro sistema, i nostri occhi in particolare, ci permettono di vederlo. Ma, se tu prendi uno spettrometro, vedi che i colori non esistono, esistono le onde elettromagnetiche. Senza scomodare gli spettrometri, delle ricerche nell’ambito delle neuroscienze hanno dimostrato come le donne percepiscano una gamma di colori più ampia rispetto agli uomini, di nuovo a dimostrazione che la percezione di un’unica realtà oggettiva identica per tutti non è possibile.

Ma a noi psicoterapeuti che ce ne importa?

Beh, ce ne importa per una serie di motivi:

ad esempio la ricerca non può più andare a cercare di scoprire come stanno le cose in realtà. Sempre Maturana e Varela, per esempio ci hanno detto che, se tu esamini abbastanza a lungo e approfonditamente una ricerca, un’osservazione, starai osservando le caratteristiche dell’osservatore. Cioè emergeranno tutta una serie di caratteristiche di quella ricerca, che ti faranno capire quali sono le caratteristiche di chi quella ricerca l’ha condotta.

E un altro grande filosofo, Heinz von Foerster, direbbe che quell’osservazione, la nostra osservazione di quell’osservatore, non è nient’altro che un’altra osservazione di un altro osservatore, cioè di noi stessi. Questo porta a una catena infinita perché, se io osservo l’osservazione di Antonio, sarà la mia osservazione dell’osservazione di Antonio, l’osservazione di Flavio dell’osservazione di Antonio. E se Rossella osserva la mia osservazione dell’osservazione di Antonio, saranno osservazioni di Rossella dell’osservazione di Flavio dell’osservazione di Antonio. Così via all’infinito.

Quindi la ricerca è da buttare alle ortiche? Ognuno faccia quello che gli pare perché tanto è tutto soggettivo?

No!

E lo psicologo che ha studiato male il costruttivismo radicale può pensare che questo porti a un relativismo senza fine, dove tutti possono fare la psicoterapia che gli pare, perché tanto è tutto soggettivo, ma non è così. Tanto, dicono loro, se il tutto è soggettivo nessuno può dire che la mia psicoterapia è meno utile o meno efficace della tua.

Però no ragazzi, le cose non stanno così. Innanzitutto lo stesso von Glaserfeld dice:

“Il sapere viene costruito dall’organismo vivente per ordinare, nella misura del possibile, il flusso dell’esperienza, di per sé informe, in esperienze ripetibili e in rapporti relativamente attendibili tra di esse.”

E in questo senso la ricerca scientifica non diviene più la ricerca del vero e dell’oggettivo, ma vede dei metodi che funzionano, che possono essere ripetuti su certe persone e a cui noi possiamo attingere per cercare di ottenere gli stessi risultati con altre persone. E nella pratica psicoterapeutica poi il costruttivismo radicale, e altre epistemologie simili, hanno avuto proprio delle ricadute enormi.

Ad esempio, se una realtà oggettiva non è conoscibile, dire che i disturbi mentali esistono nello stesso modo in cui esistono i virus dell’influenza, o di altre patologie, è sbagliato: potremmo dire che è un modo diversissimo di usare la parola “esistere”. Questo conduce a una psicoterapia che deve essere più attenta all’uomo, alla sua soggettività, che deve evitare di farsi portavoce di una oggettività scoperta e conosciuta a cui far aderire le persone. Insomma c’è tanto tanto tanto tanto da dire, ho riassunto fiumi di filosofia in pochi minuti. Magari se vi interessa ditemelo che ci
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Se l’argomento potrà interessare o meno…

…sarà una questione soggettiva.

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