Ma la psicoterapia sta andando bene?
Premessa questo non è un video per pazienti che si domandano se la psicoterapia sta andando bene, e che probabilmente non capiranno pressoché nulla da questo video, è un video, come tutti i miei video, per psicologi che comprensibilmente in certe fasi della terapia possono domandarsi se effettivamente stia andando bene.
Ecco, la domanda da un certo punto di vista può sembrare banale, no cioè voglio dire, se il paziente sta migliorando la terapia sta andando bene, se il paziente non sta migliorando la terapia non sta andando bene, però non è sempre così semplice e scontato no?
A volte la persona migliora ma un pezzettino microscopico alla volta, a volte non sta migliorando per alcune sedute però c’è bisogno di un po’ di tempo, però tu che fai? Continui di pezzettino microscopico in pezzettino microscopico? Oppure attendi, attendi, attendi perché tanto c’è bisogno di tempo?
Ovviamente la tua teoria di riferimento ti dà dei modelli e delle ipotesi da seguire che ti incorniciano quello che sta avvenendo in seduta e se non hai dei modelli e delle ipotesi di riferimento stai facendo male il tuo lavoro.
Però a monte di tutto ciò, come meta-modello, o meta-ipotesi, ti può venire in soccorso il concetto di “ricerca-azione” del buon Kurt Lewin. In realtà scomodare Lewin è un po’ troppo perché innanzitutto il concetto di ricerca-azione prevede un ambito di ricerca infatti alcuni autori come Nardone parlano di ricerca-intervento nella sua declinazione in psicoterapia. Però, voglio dire, non ci formalizziamo troppo perché tanto ci torna comunque utile.
Volendo sintetizzare al massimo che cosa dice Lewin? Che puoi creare un modello che ti permetta di aggiustare la rotta nel momento in cui ti serve. Ovviamente Kurt Lewin disse questo in un libro “I conflitti sociali” che è di 268 pagine e non in un video youtube di 5-6 minuti, quindi fai le dovute considerazioni…
Se vogliamo sintetizzarlo al massimo possiamo fare in tre passi:
1) Fai un’ipotesi
2) Agisci in base a quella
3) Verifica i risultati
e a quel punto, decidi se mantenere o cambiare l’ipotesi.
Ovviamente come funzionerà?
Tu fai l’ipotesi, fai un’azione, e dopo di che verifichi i dati, e se i dati sono concordi con l’ipotesi continui a mantenerla. Se invece i dati derivati dalla dalla tua azione non te la confermano cancelli l’ipotesi e ne fai un’altra: un’ipotesi 2.
Troppo complicato?
Magari facciamo un esempio? Immagina che arriva una persona con attacchi di panico la tua ipotesi è che utilizzando un intervento paradossale di incremento del sintomo il problema sarà risolto. La tua azione è appunto la prescrizione dell’intervento paradossale Nella seduta successiva la persona torna con un miglioramento, quindi hai verificato i risultati e l’ipotesi è corretta.
A questo punto la nuova ipotesi sarà che continuando così la persona continuerà a migliorare fino alla risoluzione completa del problema e allora continui in questo circolo.
La logica è tutta qui, però ovviamente ci sono una serie di note a margine da fare: prima di tutto l’ipotesi la puoi fare contemporaneamente a più livelli nel mio esempio l’ipotesi riguardava una tecnica specifica, ma puoi farla rispetto a un intero modello che stai utilizzando o addirittura soltanto rispetto a una particolare azione comunicativa. Questo si ripercuote sull’azione, pensaci un attimo, perché l’azione che metterai in atto rispetto all’ipotesi potrà riguardare sia una tecnica, un intervento, ma anche appunto una manovra comunicativa, una ristrutturazione, l’uso di una metafora, eccetera.
Quindi già vedi così che, raramente tu fai una ipotesi durante la terapia, ma ne farai tutta una serie, a seconda delle varie azioni che utilizzi, questo è un pochino il principio dell’avere una strategia in mente.
E poi ovviamente ci sono almeno due questioni riguardanti la verifica dei risultati. Se l’azione non produce il risultato è perché la tua ipotesi è sbagliata o magari perché non hai comunicato bene l’intervento nel caso di una prescrizione o perché non c’è una forte alleanza terapeutica tra te e il paziente o per qualche altra ragione al di fuori dell’ipotesi iniziale?
E anche se si producesse il risultato ipotizzato potrebbe essere per via dell’ipotesi che hai formulato ma potrebbe essere anche per delle variabili intervenienti che non riguardano l’ipotesi iniziale da cui sei partito..
Insomma, un casino!
In realtà no, perché come disse qualcuno in teoria la teoria e la pratica si equivalgono, in pratica no!
E questo in realtà viene a tuo vantaggio. Il punto, e se sei arrivato fino a questo punto del video sei davvero un eroe, è che l’insegnamento che puoi trarre da questo concetto è uno in particolare ed è davvero vantaggioso:
durante le sedute ti devi porre in un’ottica di ipotesi – azione – verifica, devi sapere perché stai facendo una determinata cosa, e quella è l’ipotesi, devi aver chiaro che cosa stai facendo, qual è l’azione che stai facendo perché poi dovrai andare a verificarla e quella punto è l’azione, e infine devi poter verificare quello che hai fatto, il risultato di ciò che hai fatto perché così potrai decidere se ha senso continuare a farlo o se devi cambiare rotta.
Puoi farlo a più livelli certo ma più lo fai più diventerà automatico e quale sarà il vantaggio?
Il vantaggio appunto è che se la terapia non dà i risultati che speravi, puoi rivedere l’ipotesi e puoi cambiare azione o una parte dell’azione, andando a toccare chirurgicamente qualcosa di quello che stai facendo, per modificarlo e per vedere le modifiche nella seduta e con la persona stessa.
Martedì prossimo andrò ad approfondire un po’ questo concetto andando a vedere che cosa bisogna fare nella seconda seduta anche in base alle ipotesi della prima, però se hai visto gli altri miei video forse avrai notato che questa logica permea tutto ciò che faccio ed è frutto proprio di un’ipotesi…
…ben verificata.
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