Che si fa quando il paziente ci risponde costantemente “non lo so”?
Sarebbe bellissimo rispondere “non lo so” però poi deluderei i miei 539 follower, specialmente il 111 che so che ci tiene in particolar modo a questo video.
Nel video della scorsa settimana “Cosa fare con il paziente che dice non lo so” ho spiegato tre modalità di intervento in questo tipo di situazioni.
Dato che sono propedeutiche alle altre tre che andrò a spiegare tra poco ti consiglio di andare a vedere prima quel video, se tu non l’hai già fatto.
Riassumendo veloce quello che dicevamo era di aspettare prima qualche secondo, poi rispondere “supponi di saperlo”, e poi se continua a persistere il “non lo so” arrivarci insieme andando a ripercorrere quello che vi siete detti, in particolare: problema, obiettivo e risorse.
Quest’ultimo intervento in particolare ha una funzione fortemente ristrutturante, serve alla persona per rimettere in ordine certe informazioni, e magari scoprire che delle domande erano state mal poste, oppure non dette, oppure serviva semplicemente rimettere un attimo in ordine i pezzi per produrre nuove associazioni.
Se però anche qui la persona non procede, la quarta cosa che puoi fare è quella di suggerire tu una prospettiva o di dare una tua opinione.
E qui si apre un mondo, anzi, due mondi: il primo mondo riguarda questioni etiche, tecniche e teoriche.
Dal punto di vista etico molti si domandano se sia giusto che sia il terapeuta a dare delle direzioni precise al paziente.
Si parla in questi casi di colonizzazione, di invasione di campo, di mettere qualcosa di te dentro di lui, che detto così suona terribile davvero, davvero, davvero terribile.
Comunque avete mai pensato che fino a qualche anno fa nessuno avrebbe detto “suona terribile” o “suona male”. Adesso invece devi stare attento in modo ossessivo a quello che dici, addirittura scusarti in maniera preventiva per il rischio che tu possa aver detto qualcosa che offende qualcuno. Non è sbagliato che tu chieda scusa per il fatto che tu possa dire qualcosa che offende qualcuno, perchè lo puoi fare di chiedere scusa dopo;
il fatto è che lo devi chiedere prima, preventivamente. Devi scusarti preventivamente perché quello che dirai potrebbe offendere qualcuno. Praticamente dobbiamo chiedere scusa sempre e per qualunque cosa.
Naturalmente mi scuso se questo mio discorso ha offeso qualcuno. Insomma eticamente il punto è: la persona deve fare da sé per principi diciamo di non influenza, libero arbitrio, autodeterminazione, o il terapeuta è giusto che le suggerisca qualcosa.
Dal punto di vista teorico e tecnico invece ci sono tutti i discorsi del perché farlo, del quando farlo, del come farlo… e così via.
Ma se il primo mondo riguarda le questioni teoriche, tecniche ed etiche, il secondo invece riguarda il che tipo di feedback o suggerimento dare.
Evito di entrare nel dettaglio perché qui molto dipende dalla natura del “non lo so”, su cui devi iniziare a farti delle domande. Poi una persona potrebbe dirti “non lo so” perché appunto ha bisogno di pensarci un pochino, di rifletterci un attimo, ma potrebbe anche dirtelo perché ha un atteggiamento manifestamente oppositivo. Pensa al classico esempio dell’adolescente portato in terapia dai genitori, oppure ad una persona che riversa contro di te la rabbia che prova per l’oggetto per il quale è venuta in terapia, o ancora la situazione di cui sta parlando la persona è così tanto caricata emotivamente che è difficile arrivarci direttamente per lei e parlarne in modo esplicito e diretto.
Ed è a questo punto che tu puoi dare dei suggerimenti;
suggerire delle prospettive o qualcosa che permetta di andare avanti rispetto a quello specifico “non lo so”.
E comprendi che le situazioni in questo caso sono talmente tante che più che un video questo finirebbe per diventare una supervisione.
Quindi limitiamoci a dire che, arrivati a questo punto, quello che puoi fare è iniziare a dare dei feedback, dei suggerimenti, delle opinioni che secondo te possono essere di aiuto per superare quel “non lo so”, anche per interpretare, non in senso psicodinamico, per dare una spiegazione a quel “non lo so”, a seconda di quello che ritieni più utile in quel momento della terapia per quella persona.
Di nuovo, attenzione: lo scopo non è l’interpretazione psicodinamica, è solo trovare un accordo per arrivare a sbloccare insieme alla persona, quindi trovare un accordo con lei, quella situazione d’impasse.
Numero 6: che cosa fai se la persona continua a dire “non lo so”?
Beh, a quel punto, vai nella direzione opposta.
Significa che se fino a quel punto hai ricevuto come risposta un “non lo so” di fronte a delle domande relative a come sbloccare la situazione, quello che puoi iniziare a chiedere è come puoi peggiorarla di più.
Oppure se l’adolescente dell’esempio di prima continua a risponderti “non lo so” di fronte al tuo tentativo di aiutarlo, inizia a chiedergli che cosa dovresti fare per far andare le cose ancora peggio, per stare ancora male, o per rendere tutta questa situazione un vero problema per te.
Oppure se la persona davvero ti dice che non sa scegliere tra A e B, o si sente talmente depressa che davvero non sa che cosa fare, oppure se l’ansia la divora talmente tanto che davvero non sa come muovere un prossimo passo, chiedile come saranno le cose se continuerà a fare quello che sta facendo: a non scegliere, a non fare niente, a non muovere un singolo passo. In questo momento cerca di farlo come se fosse un compito esplorativo, cioè cerca di farle produrre esattamente le cose che dovrebbe fare per far andare male la situazione, oppure le cose che facendole continuerebbero a tenerla in quello stato.
Se hai visto i miei video sulle nuove logiche, ti renderai conto che questo tipo di intervento ti servirà per andare a rispondere alle logiche del creare consapevolezza e creare avversione in un primo momento, quindi crei consapevolezza e avversione delle cose che è meglio non fare e, successivamente, arrivare alle logiche del bloccare i comportamenti disfunzionali.
Perché ovviamente, se alcune di quelle cose già le fa andrai a bloccarle, e di creare dal nulla, perché ovviamente se alcune di quelle cose già le fa, oppure non le fa e non dovrebbe farle, allora potrai andare a creare l’opposto:
se sai che cosa non va fatto diventa più facile capire cosa devi fare. Infatti il passo successivo sarà proprio questo: andare ad accordarsi insieme sulle cose che non vanno fatte, che è necessario bloccare, oppure, al contrario, da iniziare a fare per risolvere il problema.
E se però il paziente quando gli dici “che cosa dovresti fare per mantenere le cose così, quindi non migliorarle o addirittura peggiorarle”, ti rispondesse “non lo so”?
A questo punto è poco utile insistere. Ci torna più che altro utile invece il concetto, il costrutto anzi, di resistenza e di prescrizione della resistenza. Puoi cioè prescrivere alla persona il suo “non lo so”.
Quando si parla di prescrizione della resistenza io non intendo unicamente dire alla persona di fare quello per cui resiste. Lo intendo più nei termini di seguire la resistenza anziché andare a bloccarla, ostacolarla o respingerla indietro.
Di fronte a un muro di “non lo so” puoi rispondere “forse hai ragione, forse effettivamente in questa situazione non possiamo fare molto per adesso”, oppure puoi dire “forse c’è un vantaggio in questo momento per il quale tu devi tenere questa situazione così com’è e non migliorare”, o ancora “forse non è il momento giusto, forse dobbiamo aspettare di darci qualche settimana e vedere se ci sarà qualche miglioramento” o addirittura dirle “forse hai ragione, forse per ora non dobbiamo prendere altri appuntamenti e torna da me quando inizierai a vedere un miglioramento”.
Ci sono decine e decine di modi per prescrivere la resistenza, forse mi sto anche perdendo qualche esempio che possa essere molto interessante, però più o meno penso che hai capito. L’idea di fondo però è quella di smettere di contrastare la persona, che significa anche smettere di cercare di darle delle spiegazioni delle alternative, e seguire il suo flusso. Abbiamo finito anche con questo lungo video la carrellata di suggerimenti su come affrontare “non lo so”.
In realtà, come dicevo, ce ne sono tanti, tanti, tanti altri per farlo però spero di averti dato qualche idea.
Molti saranno legati anche alla teoria della tecnica di uno specifico approccio altri invece sono più trasversali.
Spero comunque di averti dato qualche suggerimento utile che possa aiutare la tua professione da psicologa in modo tale che tu possa trasformare un “non lo so” in un…”ora lo so”!
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