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Le teorie, i modelli, le filosofie di intervento sono irrilevanti se il paziente ha già risolto il problema.

Una volta venne da me una ragazza che non riusciva a sbloccare una situazione relazionale.

Lavorammo per tre sedute su quello che la bloccava con il partner, finché un giorno venne da me dicendo di averlo affrontato.

Mi congratulai con lei e quando le chiesi come aveva applicato ciò che ci eravamo detti, mi rispose con imbarazzo: – In realtà non l’ho fatto. È successa. Una cosa strana…
– Cosa?
– L’altro giorno ho sbroccato alla mia superiore, a lavoro. Per la prima volta mi sono incazzata e ho fatto una scenata di fronte a una delle sue costanti vessazioni. Lei è rimasta impietrita, ma alla fine mi ha dato ragione. E… non so cos’è successo, ma questo mi ha dato coraggio per affrontare il mio ragazzo.

Mi chiesi a lungo come il nostro lavoro avesse contribuito a questa situazione, ma in tutta onestà non trovai niente, in quello che avevamo fatto fin lì, che potesse giustificare l’esito descritto.

Era come quando alle elementari, durante i compiti di matematica, ti veniva fuori il risultato corretto di un problema, ma le operazioni eseguite non erano quelle giuste.

Mi congratulai di nuovo con lei ed esplorai cosa avesse funzionato. “Se non è rotto, non aggiustarlo.”
Sii pronto ad abbandonare le tue teorie, a non imporle su chi hai di fronte, con l’ossessione (davvero) di spiegarlo, di spiegare lui/lei e i suoi comportamenti, con la tua teoria.

Perché la tua è una teoria. La persona potrebbe funzionare meglio in base a un’altra teoria, che magari tu non conosci.

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