Una volta mi stavo trovando a parlare con il grandissimo Fabio Carnevale
ipnoterapeuta grandissimo peraltro da
poco diventato anche vice presidente
della European Society of Hypnosis. E niente, Fabio stava parlando di Milton Erickson,
del suo modo di fare l’ipnosi, delle sue
tecniche, del suo approccio particolare,
e mi fece riflettere su una cosa
interessante.
Praticamente Milton era capace di fare delle induzioni di ore e ore, a volte delle intere giornate,
si metteva lì col suo pazientino, tu-tu-tu, gli faceva questa induzione di trance lunghissima,
questa ipnosi infinita e
poi ovviamente gli risolveva il problema.
Poi ti credo che guarivi le persone… Piuttosto che stare un minuto di più li dentro
ti facevi passare il sintomo!
In effetti ripensando al video di due settimane fa
qualcuno potrebbe anche dire che le ipnosi di Erickson erano delle ordalie.. delle cose faticosissime!
Anyway, la storia era un’altra, io sentivo Fabio parlare e a un certo punto
gli chiesi: “Senti ma spiegami una cosa, perché Milton Erickson faceva queste induzioni di trance lunghissime
e io oggi non posso fare una cosa simile,
non posso prendere una persona e dirgli “guarda vieni nel mio studio, ci vediamo per 6 ore
e facciamo un’ipnosi che forse finisce e quelli in sala d’attesa intanto aspettano…”
Non si può!
C’è poi non è che non si può, si può anche però non può essere la regola,
può essere semmai un’eccezione, ma peraltro anche le persone non credo che siano proprio più
nell’epoca in cui possiamo permetterci di dire alle persone “vieni e stai sei ore nel mio studio”,
dicono “no, come sei ore? 50 minuti! Poi devo andare,
ho da prendere l’autobus, la metro, il business, le cose..” Non siamo più negli anni ’50!
Ti immagini questa cosa? Prendi le persone, gli dici “guardi, allora, ci vediamo alle 17:00 di venerdì 26 aprile,
lei porti le birre che alle pizze ci penso io e andiamo avanti fino a nottata!”
Cioé il punto è che se ci pensi Erickson viveva in un contesto che gli permetteva di fare quello che faceva,
di fare dell’ipnosi lunghissime,
per fare un esempio, molte delle sue
pazienti erano donne, casalinghe che non lavoravano, quindi avevano grande disponibilità di tempo
e in generale erano gli anni ’50 ’60 ’70, non c’era la fretta, la frenesia,
l’attenzione per il tempo, per lo scorrere delle lancette dei secondi,
per cercare di fare tutto velocemente
che viviamo adesso.
Insomma il mio dubbio per Fabio fu
questo, fu “ma noi come facciamo a fare
quello che faceva Erickson? Noi studiamo Erickson per cercare magari di prendere
un pochino della sua magia però di fatto
molte cose non possiamo farle,
come ce la caviamo, come ce la sbrighiamo questa storia, questa faccenda?
E al che Fabio mi guarda e mi dice “Eh caro Flavio, questo è un dubbio, un dilemma che molti si pongono,
è il dilemma del “Erickson era
ericksoniano?”
E Fabio penso che intendesse
il fatto che quello che facciamo noi
oggi ovviamente è diverso da quello che
faceva Erickson anche per via di questi
motivi, e quindi ci potremmo chiedere se
potremmo a ragione parlare di Terapia
Ericksoniana.
Però tu adesso giustamente ti chiederai
“Ma a me che me ne frega di
questo?”
Ecco, io penso che Erickson effettivamente
fosse ericksoniano, sono gli ericksoniani a non essere ericksoniani,
e questo, se ci pensi un attimo, è un punto fondamentale per la nostra pratica.
Una volta mi trovavo in macchina con il
grandissimo Matteo Rampin e lui mi disse
“Posto che tu non puoi essere altro che te stesso, sai perché comunque Erickson è stato Erickson?”
La mia risposta fu “ma
probabilmente per via di tutte le
malattie, i disagi, i disturbi che ha avuto e
le difficoltà che ha passato”
e Rampin mi rispose “Sì esatto, per quello.”
Il punto è che anche come dicevo nel video ” Caro psicologo sii te stesso”
non dobbiamo
cercare di assomigliare a qualcun altro
sia per ragioni valoriali, sia anche per
ragioni contestualmente impossibili.
Cioè non è solo un fatto di lui è lui e tu
sei tu, e anche un fatto di contesto,
lui è lui perché in quel contesto poteva
essere lui
e tu oggi, anche se volessi, non puoi essere come lui, non puoi fare le stesse cose nello stesso modo.
Secondo me, e questa è una cosa che insegnamo anche nella nostra scuola di specializzazione,
imparare bene un modello, un approccio, un modo di fare le cose è fondamentale
perché ti dà una struttura, ti dà una mappa.
E la struttura, la mappa,
come tutte le strutture, come tutte le mappe, ti
facilita il lavoro, però
arriva il momento in cui ti devi ricordare che la
mappa non è il territorio,
oppure, come diceva il grande Yoda, arriva il momento
in cui devi disimparare…
…ciò che hai imparato.
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