Qualche tempo fa mi trovavo in studio con una cliente e, durante la seduta, mi sposto e mi risposto sulla sedia.
Infatti c’era questo raggio di sole che penetrava dalla finestra e mi finiva dritto dentro l’occhio!
Chiesi scusa alla cliente per i continui spostamenti e, sorridendo,
aggiungo che tanto comunque probabilmente c’era abituata, poiché di norma io cambio spesso posizione,
al punto che la mia Compagna ogni tanto mi domanda divertita come facciano i miei pazienti a sopportarmi.
La cliente mi guarda, sorride e mi dice: “Non scusarti: da cose come questa si percepisce la tua autenticità.”
C’è questa storia, una storia vera, che mi ispira tantissimo:
quella di una nota terapeuta familiare che, ancora giovane e alle prime armi,
si ritrovò criticata dal suo maestro di allora, Salvador Minuchin,
il quale, dopo averla vista in terapia, cominciò a dirle “Questo non va bene, devi cambiare stile,
devi cambiare modo di fare, devi cambiare questo, devi cambiare quello…”
La donna lo guarda e annuisce: “Perfetto, cambierò: cambierò maestro”
e se ne va in Arizona, a studiare con un nuovo maestro, che le insegna a sviluppare il proprio potenziale
e a trovare il proprio modo di fare la terapeuta. Quel maestro era Milton Erickson.
Io non amo le cose fatte a caso. Non sono assolutamente d’accordo
con chi pensa che “basta avere cuore” o “posso trattare i pazienti come amici”
per carità, per fare il terapeuta.. non scherziamo!
Il paziente non è un tuo amico, altrimenti lo chiameresti amico e non paziente o cliente;
e in un lavoro come questo è fondamentale la relazione “terapeutica”,
che non è una relazione “amicale”, appunto.
Detto questo ho l’impressione che a volte questo principio fondamentale,
questa importante considerazione sul come comportarsi nella veste di psicologo,
abbia preso, prenda delle declinazioni radicali.
Quando ero un terapeuta alle prime armi mi ricordo che ascoltavo affamato
una serie di indicazioni da parte di altri colleghi su come “essere” in terapia.
Per esempio c’è chi mi diceva: “Non dire mai al telefono quanto chiedi,
perché la persona deve avere una “vera” motivazione”,
solo che io pensavo: “Ma una persona ha diritto di sapere quanto dovrà spendere. Io vorrei saperlo!”.
Oppure mi dicevano: “La terapia di coppia viene di più della terapia individuale”,
però il perché di questo nessuno me lo ha spiegato in un modo per me convincente,
perché dal mio punto di vista io sono sempre lì,
per un’ora, a prescindere da quante persone ci siano nella mia stanza.
E altri di questi argomenti di questo genere li ho riscontrati
in altre cose, come il tipo di abbigliamento da usare,
come accogliere la persona, l’immagine che devi trasmettere a lei…
Quindi, qual è il punto? I miei colleghi hanno torto e io ho ragione? No, assolutamente no.
Penso che loro abbiano le loro ragioni e che siano altrettanto valide quanto le mie.
Però, d’accordo con una cosa detta dall’amico e collega Bernardo Paoli,
una chiave essenziale nel nostro lavoro è l’autenticità
Mi pare di aver citato anche in un altro video
una frase che Budman e Gurman dissero nel loro libro Theory and Practice of Brief herapy,
e cioè che il nostro lavoro sarebbe molto più semplice ed efficace
se ci accorgessimo che, per molti aspetti, non siamo diversi da altri professionisti.
Io penso che dobbiamo sempre tenere a mente la professionalità.
Una volta, per esempio, smisi di andare in un bar in cui i due gestori da un lato discutevano sempre tra di loro,
cosa che mi faceva sentire a disagio, e dall’altro si lamentavano costantemente
di come andavano male gli affari, cosa che mi caricava di pesantezza,
mentre io volevo semplicemente andare là, godermi un momento per me e via.
Oppure penso a quella volta in cui andai a vedere un appartamento, e mi sentii trattato dal venditore come…
un portafogli sostanzialmente, da cui sfilare il prima possibile dei soldi.
O, ancora, non sono mai più andato in un determinato B&B
dopo che il proprietario non mi ha fatto per nulla sentire come un “gradito ospite”.
Quindi sei uno psicologo, ma sei anche un professionista,
quindi devi saper comportarti come tale. Però, detto questo, sei prima di tutto te stesso.
Sicuramente non ti comporterai con i tuoi clienti come ti comporti con i tuoi amici o con il tuo partner e così via,
e ci saranno aspetti della vostra relazione di lavoro che saranno unici, specifici di quel particolare contesto.
Però in tutto questo, ci sarai tu. E, a mio parere, quella sarà una delle più grandi risorse…
…che potrai coltivare.
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