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Circa trent’anni fa, Steve de Shazer e il suo team diedero vita alla Solution-focused brief therapy, la terapia breve centrata sulla soluzione.

Si tratta di un approccio orientato alla persona, alle sue risorse, all’identificazione di eccezioni al problema e di soluzioni da cui partire per costruire il processo di cura.

La solution-focused brief therapy ha dato veramente grande prova della sua efficacia. Ormai ha un posto d’eccellenza tra le terapie brevi e all’interno delle sue tecniche più famose ce n’è una di cui voglio parlare oggi, che è la domanda del miracolo, la miracle question.

Si tratta di una tecnica molto utile, perché permette alla persona di proiettarsi al di là del problema, in uno scenario in cui il problema non c’è più o comunque è già risolto o completamente scomparso. È molto simile alla domanda fondamentale di Adler, dove lui chiedeva: “Come sarebbero le cose, se il tuo problema si risolvesse?”, oppure alla tecnica della palla di cristallo di Milton Erickson, in cui faceva immaginare alla persona uno scenario senza il problema, e poi costruiva tutti i passi per arrivare a quello scenario.

Se ci pensi, da questo punto di vista è molto utile da utilizzare quando, per esempio, la persona è  bloccata o quando, per qualche ragione, la terapia non riesce a definire un obiettivo preciso.

La domanda è molto semplice: immagina che, di notte, mentre stai dormendo, avvenga un miracolo e tutti i tuoi problemi si risolvano. Però succede durante la notte, quindi tu non te ne accorgi. Al tuo risveglio, da che cosa ti accorgeresti che qualcosa è cambiato, che il tuo problema è risolto e che non c’è più?

Più o meno la forma è questa, poi naturalmente possono cambiare leggermente le parole. Lo scopo, comunque, una volta fatta la domanda, è quello di incoraggiare la persona a dare delle risposte sempre più specifiche: di cos’altro ti accorgeresti? Cos’altro noteresti di diverso?; a dare delle risposte operative, comportamentali, quindi proprio “che cosa farebbe”; e delle risposte di presenza, quindi non “che cosa non ci sarebbe più”, ma “che cosa ci sarebbe”, non “che cosa smetterebbe di fare”, ma “che cosa comincerebbe a fare”.

Una volta identificati questi comportamenti, che sono quei comportamenti che la persona metterebbe in atto se il problema non ci fosse più, si inizia a metterli in atto veramente, si inizia cioè a lavorare con la persona per capire da  quale primo, piccolo comportamento potrebbe cominciare a partire per riuscire a creare un nuovo scenario: quel nuovo scenario che ha immaginato.

La tecnica della miracle question è davvero utile e probabilmente è quella che ha reso più famoso l’approccio di Steve de Shazer e dei suoi colleghi nel mondo. Ti invito a sperimentarla, a provarla e a documentarti anche online, anzi, se la conosci bene, mi farebbe piacere se qui sotto nei commenti aggiungessi le tue opinioni, le tue considerazioni e il modo in cui l’hai usata.

Se invece la vuoi approfondire per conto tuo in maniera un po’ più specifica attraverso i libri, ti posso consigliare More than miracles, di Steve de Shazer e colleghi, o in italiano il manuale di Bill O’Connel Terapia centrata sulla soluzione.

Di sicuro c’è da ricordare che la miracle question è solo una tecnica, quindi va inserita all’interno di un processo terapeutico, però può essere una leva interessante per il nostro lavoro.

Se ti è piaciuto questo video e se ti va di approfondire nuove tecniche di terapia breve, a me fa solo piacere, quindi fammelo sapere: mi lasci un commento, e ne parliamo insieme.

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