Sono fregato. Ho dimenticato in Italia l’adattatore per il proiettore e questo significa che non posso utilizzare le slide. F**k! E pensare che fin qui era andato tutto liscio.
Alle 3.40 ero già sveglio. Per l’emozione, mi piacerebbe dire, ma in realtà era più per il jet lag – ancora. Mi conosco, sono un diesel: l’adrenalina ci mette un po’ a partire e a ricordarmi che dovrei essere nervoso per un evento come questo. Ne avevo approfittato per controllare l’email, dare qualche feedback sui social (in Italia era già mattina – buffo pensare che in un certo senso lì, il mio evento, era già passato), mandare qualche messaggio…
Verso le 5.00 mi ero riaddormentato e quando la sveglia delle 6.30 ha cominciato a suonare, Michael era già in piedi da un pezzo, quasi lo dovesse tenere lui il workshop. Ci facciamo un caffè (lui) e un tè (io); mi assicuro di avere tutto e scendiamo per la colazione.
– Magari prima vuoi andare nella tua sala, per assicurarti che sia tutto ok – mi suggerisce.
– Yes, why not?
E ora sono qui, a fissare l’estremità del cavo del proiettore, come se potessi magicamente trasformarla in quella che serve al mio computer.
– Come ho potuto dimenticare l’adattatore? L’avevo comprato apposta… – mormoro incredulo. – Siamo nel mezzo del nulla, il negozio più vicino sarà a mezz’ora da qui e comunque non aprirà prima delle 9:00, e il mio intervento è alle 8:30.
Michael non si scompone. – Andiamo dai ragazzi dell’organizzazione, magari ne hanno uno.
Ci credo poco: perché dovrebbero?
Al bancone una volontaria si mostra subito disponibile e prova a chiamare un tecnico, che non risponde. Gli manda un sms e ci chiede, sorridendo, di aspettare.
– Forse posso chiedere a Gregoire se mi presta il suo computer. O magari a Richard – penso ad alta voce. – Voglio dire: posso tenere la presentazione anche senza slide, non è un problema, ma… Insomma, servirebbero per i partecipanti.
Michael mi dice di non preoccuparmi, sorridendo e riavvicinandosi alla volontaria per sollecitarla. La donna sorride di rimando, prova a richiamare il tecnico, e stavolta lo trova. Gli spiega la situazione e quello le deve aver chiesto qualcosa, perché si rivolge a Kayleigh, la ragazza che coordina buona parte dell’organizzazione, e le dice qualcosa che mi sfugge. Kayleigh fa un’espressione perplessa, si alza, si dirige verso un banco sul retro e comincia a trafficare con delle bustine.
– May I? – chiedo, avvicinandomi anche se nessuno mi risponde. – Posso? Posso? – Incredulo guardo i contenuti delle bustine: ci sono decine di adattatori, esattamente quelli che servono a me. – Yes! Yes!
– È questo? – mi chiede Kayleigh.
– Sì! Sì! Siete fantastici!
La ringrazio per trenta secondi di fila prima di schizzare di nuovo verso l’aula per provarlo e togliermi definitivamente ogni dubbio.
– Sono trent’anni che Jeff Zeig organizza questi eventi – mi dirà più tardi un sempre sorridente Michael. – Ormai sanno quali sono tutti i possibili ostacoli e come prevenirli.
Tocca a me.
Una volta provato l’adattatore ci siamo finalmente concessi una colazione più rilassata. Michael ha preso un americano e un toast, io un espresso e un waffel. Poco dopo si sono uniti Gregoire Vitry e Richard Hill, e alle 8.05 ho cominciato a sentire l’adrenalina.
– Ragazzi io vado, tra poco tocca a me. Michael, ci vediamo dentro, ok?
E alla fine, realizzo.
Quando entro in aula, alle 8.06, c’è già qualcuno.
Alle 8.10 siamo una dozzina, e penso che mi sia andata bene e che abbiamo raggiunto il numero che mi aspettavo: nessuno lì mi conosce, non c’è modo che siano venuti per me, e non ho ancora pubblicato niente, perciò non conoscono nemmeno l’argomento.
Ma alle 8.16 siamo il doppio.
Alle 8.26 i posti a sedere sono tutti occupati.
Alle 8.29 c’è una fila di persone in piedi, in fondo all’aula.
Alle 8.30 smetto di chiedermi cosa stia succedendo, e inizio, davanti a piu di cento persone.
Esco dall’aula un’ora e mezza dopo: sono ancora stordito per come è andata. Michael mi chiede se vogliamo pranzare con Scott Miller e Bob Bertolino. Sarebbe un onore: Bob ha scritto un capitolo nell’ultimo libro di Michael e colleghi sulla Terapia a Seduta Singola, e Scott… beh, Scott è l’uomo del momento, con i suoi studi sulla feedback informed therapy. Ho avuto qualche scambio elettronico con lui e mi interessa molto il suo lavoro.
Ma ora sono troppo eccitato: l’evento è andato benissimo, le persone sono rimaste entusiaste, sono rimasto un’altra mezz’ora dopo la fine, per rispondere alle domande dei colleghi. Stringo la mano a Scott e Bob, poi gli dico che non voglio disturbare il loro pranzo e che avremo modo di parlare nei prossimi giorni.
Richard ci raggiunge dopo poco. Il suo evento, subito dopo il mio, è stato molto pragmatico. Richard era un attore professionista, che ha poi deciso di dedicarsi alla psicoterapia: è naturale che il suo intervento abbia integrato le due cose.
Mangiamo, parliamo, e alla fine ci dividiamo, ognuno verso un workshop diverso. Io, in realtà, passerò l’ora successiva in videochiamata con Flavia, che non sento da un giorno, per condividere l’evento, raccontarle come è andata e sentire come vanno le cose nel vecchio continente.
L’ultimo che seguo per oggi è Michael Munion, un collega di Phoenix che ci parla della terapia breve per il Disturbo Borderline di Personalità. Essere solution oriented, darsi degli obiettivi precisi, affrontare un problema alla volta, contenerli ed evidenziare i punti di forza e le risorse: ecco la base del suo intervento, che condivido. Mi fa piacere, in particolare, trovare connessioni con altri libri e autori: ti dà la percezione di non star vedendo un one-man show, ma dei concetti individuati e condivisi in differenti contesti.
Volevo iniziare a scrivere la giornata, ma decido di concedermi un power nap in attesa delle 17.30, quando dovremo vederci per andare a cena. E immagina la sorpresa nello scoprire che, oltre a Richard Hill, Michael ha inviato proprio Munion.
Andiamo al Mingalaba, un ristorante birmano sulla Burlingame avenue. Parlare di football, Donald Trump, nomi della psicoterapia… respiro uno spirito americano fatto in casa che ricalca il mio tipo di turismo ideale: immerso nella quotidianità del luogo in cui mi trovo.
Le 21.41.
Lo so che per noi, in Italia, è presto. Di solito a quest’ora inizio a mangiare! Ma è proprio dopo che avevamo finito di cenare, quando mi rendo conto che i negozi della avenue sono aperti e che quindi abbiamo a tutti gli effetti cenato alle 18.00, che capisco di star cominciare a prendere i ritmi statunitensi. E ora ho sonno.
È stato eccitante, il mio intervento sulle 9 logiche della Terapia Breve è stato un successo. Sono riuscito a fare quello che volevo: dare una mano ai colleghi per ridurre la complessità del loro lavoro. Ci sto ripensando proprio ora, e per fortuna, mentre penso a tutto quello che posso migliorare, mi scappa anche un sorriso soddisfatto.
E domani si ricomincia.
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