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Sulla Burlingame avenue.

Un post condiviso da Flavio Cannistrà (@flaviocannistra) in data:

Vedere Jennifer cucinare le uova strapazzate (scrambled eggs), ecco l’immagine che mi porto di questa mattina.
– Vuoi un espresso o un caffè americano?
– Un tè, se non ti dispiace.
Of course! E cosa mangi, per colazione?
– Di solito qualche biscotto, ma… avrei davvero voglia di provare un’autentica colazione americana homemade.
Uova strapazzate, pancetta affumicata, pancetta cotta, succo d’arancia e un paio di fette di un dolce all’arancia e melograno fatto da Jennifer (le fette di pane con quattro diversi tipi di marmellata non sono davvero riuscito a mangiarle).

Alle 04.00 sono già in piedi. Poco male, penso, aspetto un altro po’ e ne approfitto per chiamare Flavia, che in questo momento dovrebbe aver appena finito di pranzare – in Italia sono le 13.00. Doccia veloce, nuovi vestiti e poi giù, a godermi la colazione americana della famiglia Hoyt.

L’idea è di partire alle 10.00 per Burlingame, pranzare lì e godersi un po’ la città, prima della conferenza di domani.
– In realtà, – mi ha detto Michael – considera questo: ufficialmente le danze si aprono domani, ma l’evento comincerà oggi stesso non appena metterai piede in hotel. Vedrai gente, conoscerai persone, stringerai mano… inizia tutto lì.
È con queste parole in testa che saluto Jennifer: ci rivedremo tra un paio di giorni, quando verrà a vedere la lecture di Michael.

Salgo in macchina: la prima tappa di oggi è Berkeley, dove c’è una delle più importanti università degli Stati Uniti. Se vuoi entrare qui (o ad Harvard, Yale o Stanford), devi pagare su per giù attorno ai cinquantamila dollari. All’anno.

Ci fermiamo nel parco botanico, a camminare sotto la pioggia in mezzo a piante di ogni continente. Parliamo di come autori di terapia breve come Watzlawick, de Shazer o Erickson siano partiti da una impostazione più antropologica e filosofica, che psicologica.
– Credo che uno dei problemi della psicologia sia quella di aver ricalcato il modello medico, e di essersi voluta ricavare uno spazio come professione sanitaria: forse avrebbe dovuto fare altro – commenta Michael.

A Berkeley lavora anche Alex, suo figlio: quando gli stringo la mano stento a credere che possa essere ancora più alto del padre. Ci offre un drink a base di mela fermentata, credo: la mia conoscenza dell’alcol è talmente ridicola che non oso nemmeno chiedergli spiegazioni; mi basta sapere che è poco alcolico e che è buono. Michael mi racconterà più tardi che Alex ha una conoscenza enorme sulla storia dell’arte e della cultura del classicismo europeo, che è capace di parlare in greco antico e che ha più libri di lui. Stento a credere anche a questa cosa.

Quando arriviamo all’hotel sono le tre e mezza del pomeriggio, il cielo è coperto ma almeno ha smesso di piovere. Si muore di freddo: non so se la mancanza di un sistema di riscaldamento – l’interno dell’hotel è enorme, come uno stadio – o per dei condizionatori tarati a livello “Pinguino”. Il posto è davvero enorme. Sembra quasi che non ci sia nessuno, con corridoi e hall apparentemente vuoti.

Michael comincia a salutare e a presentarmi una serie di persone. Vorrei tanto ricordarmi il nome di un collega americano che per cinque minuti ha tentato di convincermi che noi ci eravamo già visti (“A Montreal, lo scorso anno!”, “Non sono mai stato a Montreal.” “Allora forse era all’ultima Evolution of Psychotherapy Conference?”, “Na, non c’ero.” “Non eri lì con Michael?”, “Forse era il mio gemello”). Richard Hill, un australiano intrigante e spiritoso, che sarà una guest star di questi giorni, mi saluta come se fossimo vecchi amici. E poi arriva Jeff Zeig: – Flavio… oh, Flavio! (pausa di qualche secondo, in cui mi chiedo se si sia appena ricordato qualcosa di sgradevole che potrei aver fatto/detto durante l’intervista che gli ho fatto un mese fa; invece si limita a sorridere e a dirmi in italiano:) Molto piacere di averti qui. –
– Il piacere è mio, Prof. Zeig.

Lo rivedremo poco dopo, Michael, Richard ed io – raggiunti dopo un attimo da Gregoire Vitry del LACT – per assistere all’apertura delle danze. Il jet lag torna a farsi sentire e sfortunatamente sono poco concentrato durante l’evento di una collega che parla del lavoro con pazienti latini.

Infine si cena insieme, si parla di progetti e si va in stanza. Michael ora legge il programma di domani. Io finisco queste righe. Domattina, alle 8.30, tocca a me.

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